CONVEGNO IN MEMORIA DI ENZO TORTORA PER IL VENTENNALE DELLA SUA MORTE
Napoli, Palazzo Partanna, sede dell'Unione Industriali 18 maggio 2008
Intervento di SALVO GIORGIO sul processo Contrada
Il 18 maggio 2008, ventesimo anniversario della morte di Enzo Tortora, l'associazione bolognese Multimedia Video ha organizzato un convegno celebrativo. La sede prescelta, Napoli, richiama la triste vicenda processuale del celebre giornalista, accusato da un "pentito", Mauro Melluso, di avere rapporti con la camorra. Mi è stato chiesto un intervento sul processo Contrada, considerate le analogie strutturali fra le due vicende, ossia il fondamento esclusivo delle accuse sulle dichiarazioni di un "pentito": l'altra analogia consiste nell'innocenza dei due imputati, quella di Tortora già provata dalle carte processuali, quella di Contrada in attesa di essere finalmente svelata dalla Storia. Che potrebbe essere l'unico giudice capace di sentenziare in maniera oggettiva.
Il convegno ha visto la partecipazione di illustri avvocati e giuristi come Giuliano Pisapia, uno dei padri del nuovo Codice di Procedura Penale, l'avvocato Raffaele Della Valle, uno dei difensori di Tortora, l'avvocato Giovanni Dedola, difensore dell'ex-ministro della Salute Sirchia e di Giovanni Consorte, nonchè dell'avvocato Francesco Caia, presidente dell'Ordine degli Avvocati di Napoli, del presidente del Consiglio Provinciale della Campania, Sandra Lonardo, già coinvolta in vicende giudiziarie, e della compagna di Tortora, Francesca Scopelliti. L'intervento del presidente emerito della Repubblica Francesco Cossiga, impossibilitato a partecipare di persona, come aveva promesso, per motivi di salute, è stato registrato sottoforma di intervista. A realizzarla è stato Vittorio Pezzuto, autore del libro Applausi e sputi, dedicato alla straziante vicenda di Enzo Tortora.
Questo il testo del mio intervento, trascritto dalla registrazione audiovisiva a cura dell'associazione Multimedia Video:
"Grazie di questa opportunità, perché è importante per me leggere un messaggio che il dottor Bruno Contrada ha voluto rivolgere a tutti noi che stiamo partecipando a questi lavori che ricordano la figura di Enzo Tortora. Lo leggo grazie all’avv. Lipera, che mi ha dato l’ onore di leggere queste righe:
“Nella ricorrenza del ventesimo anniversario della scomparsa dell’indimenticabile Enzo Tortora, rivolgo a lui il mio pensiero riverente e commosso. Prego il mio difensore, avv. Lipera, di farsi interprete di tale mio sentimento verso tutti i partecipanti a questo convegno, in cui saranno trattati temi di giustizia e di ingiustizia, e nel contempo di portare, non potendolo fare personalmente poiché imprigionato, il mio vivo e deferente saluto a tutti gli illustri presenti. Firmato Bruno Contrada”.
Un uomo a cui io, nel 1999, ho sentito il piacere e l’onore di dedicare (a lui e a Enzo Tortora) la mia tesi di laurea in giurisprudenza. Una laurea che ho messo nel cassetto: non ho fatto né l’avvocato né alcuna altra attività relativa alla mia laurea. Ma la mia tesi riguardava il principio della presunzione di non colpevolezza. All’inizio di essa ho voluto scrivere questa piccolissima dedica: “A Bruno Contrada ed Enzo Tortora, per i quali l’art. 27 comma 2 della Costituzione è stata soltanto un’opinione”. E questo è ancora più vero perché i due processi, che poi hanno avuto esiti diversi, hanno degli inquietanti punti in comune.
Nel processo Contrada addirittura siamo arrivati ad un livello quasi medianico, perché il fenomeno del pentitismo non si è fermato alle parole che i pentiti hanno pronunciato in aula o in videoconferenza, ma si è esteso fino a far parlare i morti. E’ stato semplicissimo, anche agli occhi dei cronisti: voglio premettere che io sono un giornalista, ma sono totalmente d’accordo su quello che è stato detto prima circa la mia categoria. Purtroppo il processo Contrada è stato vittima di una disinformazione totale e, consentitemi, assolutamente vergognosa… Dunque, si diceva, parlavano i morti… Quando c’era un riscontro oggettivo a favore dell’imputato, chissà perché di questo riscontro non se ne parlava, la stampa non ne parlava; ma chissà perché, invece, i giudici non ne hanno tenuto conto… Voglio fare solo due esempi per far capire quello che è stato il leit motiv di questo processo: un pentito che ha cambiato versione… Un pentito disse addirittura che, intorno alla metà degli anni ’70, al dott. Bruno Contrada era stato messo a disposizione un appartamento a Palermo da un costruttore in odore di mafia. Peccato che poi i dati abbiano dimostrato che, proprio in quel periodo, tale costruttore era stato denunciato, arrestato e incarcerato insieme ai suoi cinque fratelli per merito del capo della Squadra Mobile di Palermo Bruno Contrada. Sono degli atti che parlano contro le parole di un pentito, ma la sentenza ha dimostrato di non tenerne conto… E ancora, una delle cose che ha fatto soffrire ancor più l’imputato, poi condannato, e posso dire ingiustamente, da quello che ho visto da cittadino ancor prima che da cronista, è stato mettere in discussione il suo rapporto con Boris Giuliano: colui che era suo fratello, erano Castore e Polluce, erano quelli che il questore Migliorini chiamava “i miei gioielli”… Ebbene, Boris Giuliano è morto nel 1979, assassinato dalla mafia. Non poteva parlare, dunque, non poteva deporre, però è stato chiamato in causa nel processo, insieme a Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Ninni Cassarà…. tante persone morte che non erano lì per dire “ma cosa state dicendo???”… Erano lì, invece, per poter dire, esterrefatti, “che cosa state facendo???” decine e decine di colleghi, superiori e dipendenti di Bruno Contrada… I quali lo hanno difeso a spada tratta. Io ho visto… La sera della sentenza di condanna in primo grado scendevo le scale del Palazzo di Giustizia di Palermo insieme a Bruno Contrada, ai suoi avvocati, al figlio Guido e a un suo ex-dipendente… Io quest’ultimo l’ho visto piangere, ho visto piangere questo ispettore di polizia, e capite che persone che hanno fatto conflitti a fuoco sono emotivamente molto forti… Io l’ho visto piangere e gli ho sentito dire una frase: “Dottore Contrada, io mi vado a ubriacare perché altrimenti sparo a qualcuno...”. Pensate qual’era l’affetto di questi dipendenti, non solo dei colleghi e dei superiori di Bruno Contrada, ma dei suoi dipendenti… Che ogni udienza io vedevo a mo’ di guardia reale stare là, partecipare, anche quando non potevano interloquire con il detenuto perché costui era ancora in regime di carcerazione preventiva… I suoi ex-dipendenti gli davano questo senso di conforto… Ebbene, li ho visti piangere… Ed è stato incredibile, poi, percepire la devozione che c’era nei confronti di quest’uomo. Ebbene, questi, i colleghi, i dipendenti, non sono stati creduti. Sono stati creduti dei pentiti che hanno cambiato versione, per cui oggi sono costretto a leggere, su altri blog in Internet, sono costretto ancora a leggere “Bruno Contrada è colui che ha fatto fuggire Totò Riina”. Ma questa è una cosa che anche a livello processuale, scusate, è stata addirittura quasi messa di lato, perché quell’operazione, della quale Bruno Contrada sarebbe stato secondo l’accusa delatore ai mafiosi, non fu mai organizzata. Allora: voi pensate che, in un periodo come il 1981, con la mafia che alzava il tiro contro gli uomini delle istituzioni, il dottor Bruno Contrada non solo non sarebbe stato un buon poliziotto ma non sarebbe stato neanche un buon delatore, perché non avrebbe fatto altro che perdere tempo, e rischiare, passando a gente molto simpatica e sicuramente innocua delle informazioni fasulle su operazioni che non ci sono mai state e che tutta la polizia e i carabinieri di Palermo hanno giurato in aula che non sono mai state organizzate! Eppure, nonostante questo, il pentito è stato creduto, anche dopo un cambio di versione repentino, intervenuto dopo neanche un mese…
Io non voglio annoiarvi ulteriormente con dettagli particolari anche perché siamo alle strette come tempi, immagino. Ritengo che questa giornata debba fare riflettere tutti quanti perché la vicenda di Enzo Tortora, che mi colpì personalmente (io avevo 17 anni all’epoca e mi ha veramente sconvolto), la vicenda di Enzo Tortora sta continuando nella figura di Bruno Contrada. E’ meglio che questo lo ricordiamo tutti. Non so a quali conseguenze penali o meno io mi possa esporre, ma se non abbiamo il coraggio di dire le cose come stanno, credo che sarebbe inutile anche spendere delle parole. Grazie".
SALVO GIORGIO
APPROFONDIMENTI
1.
CONVEGNO DEL 18 MAGGIO 2008 PER IL VENTENNALE DELLA MORTE DI ENZO TORTORA - INTERVENTI SUL PROCESSO CONTRADA
1 commenti:
Segnaliamo al post n. 677 di http://blog.libero.it/lavocedimegaride
esclusivo nostro reportage in tema di INGIUSTIZIA/ da Tortora a Contrada/ -
link al servizio televisivo e cronaca dell'evento napoletano - Messaggio
coraggioso del presidente Cossiga - testimonianze di Salvo Giorgio sul caso
Contrada - Testimonianza di Francesca Scopelliti, compagna di Enzo Tortora -
Consegna ufficiale firme petizione riabilitazione Contrada ed istanze di
asilo politico di italiani sostenitori di Contrada - La parola all'avvocato
Lipera ed ai congiunti di Contrada.... Tutto quanto non vedrete mai in TV!
Rammentiamo ch'è attiva la sezione "Commenti" a pie' di pagina del post in
questione e che saremmo lieti di poter approfondire un dibattito sui temi
scottanti proposti.
la redazione de La Voce di Megaride
2.
MESSAGGIO DEL COMITATO BRUNO CONTRADA AL FORUM DEI GRUPPI LIBERALI DEL PDL - Roma, 3 Ottobre 2008
Il portavoce del COMITATO BRUNO CONTRADA ha relazionato su uno dei casi più eclatanti che hanno occupato le cronache giudiziarie degli ultimi 20 anni leggendo il seguente elaborato:
BRUNO CONTRADA nato a Napoli il 2 settembre 1931, uomo dello Stato che lo Stato ha servito in tutta la sua vita.
- Ufficiale dei Bersaglieri a vent’anni.
- Funzionario di Polizia nei cui ranghi ha percorso la carriera dal grado iniziale di vice commissario a quello finale di Dirigente generale.
- Negli ultimi dieci anni di servizio, dal 1982 al 1992, funzionario del Servizio Informazioni perla Sicurezza Democratica (S.I.S.D.E.), raggiungendo nell’organismo il grado di v.capo reparto.
- 14 anni alla Squadra Mobile di Palermo, dal 1962 al 1976, quale dirigente delle sezioni “volante”, “catturandi”, “investigativa”, “antimafia” e, infine – negli ultimi 4 anni – dirigente della Squadra Mobile.
- Poi, sei anni, dal 1976 al 1982, capo del Centro Criminalpol perla Sicilia Occidentale.
- Successivamente, dal 1982 al 1986, Capo di Gabinetto dell’Alto Commissariato per la lotta alla mafia e contemporaneamente coordinatore dei Centri S.I.S.D.E. della Sicilia.
- Infine, dal 1986 al1992, a Roma, alla Direzione del SISDE, con alti incarichi nei settori operativi.
Nell’espletamento degli uffici ricoperti ha compiuto infinite e rilevanti operazioni di polizia, specie nel campo della lotta alla mafia.
Ha conseguito innumerevoli riconoscimenti dai vertici dell’Amministrazione per i risultati conseguiti: circa 60 dalla Polizia e quasi 100 dal SISDE.
Si è occupato, con totale dedizione, abnegazione, spirito di sacrificio, elevata professionalità, gravi pericoli di vita, dei crimini più eclatanti, cruenti e terribili perpetrati dalla organizzazione criminale mafiosa siciliana.
Ha riscosso sempre il plauso, l’elogio, l’apprezzamento, la fiducia incondizionata dei vertici degli organismi di polizia e di sicurezza nell’ambito dei quali aveva operato, nonché l’ammirazione dei colleghi e dei subordinati.
Ha perseguito per oltre trenta anni, in situazioni difficilissime, tutte le più sanguinarie e agguerrite “famiglie” di mafia di Palermo e provincia, responsabili di innumerevoli, orrendi delitti.
Con rigore e inflessibilità ha lottato contro la mafia e i mafiosi, affrontando pericoli di ogni genere.
Ciò si evince in modo certo e inequivocabile dai suoi fascicoli personali del Ministero dell’Interno, della Questura di Palermo, del S.I.S.D.E., dell’Alto Commissariato.
Alla fine del 1992, mentre era nel pieno della sua attività professionale e al culmine della carriera, nel momento in cui si aprivano per lui prospettive di più prestigiosi ed elevati incarichi negli apparati istituzionali, venne arrestato (alla vigilia di Natale del 1992) su richiesta della Procura della Repubblica di Palermo con motivazioni basate su accuse manifestamente calunniose di un nugolo di criminali mafiosi pentiti. A questi, poi, si aggiungevano altri “pendagli da forca” che barattarono la libertà, l’impunità, il danaro con altre calunnie.
Tutti delinquenti della peggiore risma, mossi anche dall’odio verso il poliziotto che li aveva perseguiti con denunzie e arresti o che aveva perseguito i loro parenti. E affiliati alle rispettive “cosche” mafiose.
Calunnie infondate e assurde, senza alcun riscontro, senza alcuna prova. Molte di siffatte accuse sono cadute miseramente nel corso dei successivi processi per la incontrovertibile assurdità e talvolta assoluta “ridicolaggine”. Ma la cosa più grave e inconcepibile non è che dei criminali responsabili dei più efferati delitti si siano determinati a vomitare con pedissequo adeguamento e certi della impunità accuse del tutto assurde contro il poliziotto Contrada, loro acerrimo nemico, ma che ci siano stati dei magistrati che tali accuse hanno poi posto a fondamento del processo e successiva condanna.
Non certo tutti hanno però avuto siffatto comportamento. Infatti, c’è stata una Corte di Appello, quella presieduta dal dott. Agnello (la II Sez. della Corte di Appello di Palermo) che ha ribaltato la sentenza di condanna del Tribunale, assolvendo con la formula più ampia (perché il fatto non sussiste) il dott. Contrada. Sentenza assolutoria del 4.5.2001. Ma poi la Corte di Cassazione ha annullato la sentenza e si è quindi celebrato un altro processo di appello che sulla base dello stesso inconsistente materiale probatorio ha condannato il funzionario.
Ma nel nostro ordinamento giuridico non esiste il principio che la condanna deve essere irrogata soltanto quando la colpevolezza risulta “al di là di ogni ragionevole dubbio”?
E quale dubbio è più ragionevole del fatto che la stessa Corte di Appello – quella di Palermo - prima sentenzia: “quell’uomo è innocente e deve essere assolto” e dopo sentenzia. “quell’uomo è colpevole e deve essere condannato”?
E’ vero che a giudicare sono stati due collegi diversi ma sempre della stessa Corte di Appello.
Come si spiegano e si giustificano due sentenze così contrastanti?
Come si spiega poi che i criminali pentiti in un processo siano ritenuti credibili ed attendibili e in un altro processo no?
Come si fa poi a provare che siffatti criminali per apparire veritieri abbiano tra loro concordato le accuse onde realizzare la cosiddetta “convergenza molteplice” che, indipendentemente dai riscontri oggettivi, diventano di per se’ prova della colpa?
Quale possibilità ha l’imputato innocente di difendersi, dimostrando che gli accusatori hanno concordato le accuse? Nessuna!
Ecco perché sarebbe necessaria la costituzione di una Commissione parlamentare che indaghi sulla Gestione dei Pentiti.
Non è possibile che la vita e la libertà degli uomini sia affidata alla parola di turpi individui che, non avendo avuto alcuna remora a commettere le più orrende azioni criminali che hanno fatto inorridire il Paese, abbiano poi scrupolo ad accusare falsamente e calunniosamente un innocente!
Il pentito è l’arma più pericolosa chela Giustizia maneggia e tale arma dovrebbe essere utilizzata soltanto da uomini dotati di alta professionalità, rigore morale e profonda coscienza.
Nel processo di Contrada sono stati creduti soltanto i criminali pentiti che, per la maggior parte, hanno riferito fatti e circostanze di cui non avevano cognizione diretta e personale ma che, a loro dire, avevano saputo “de relato” cioè da altri. Altri, nella quasi totalità morti, e pertanto non in grado di confermare o smentire. Perché sono stati creduti solo i malfattori e nessuna rilevanza è stata data alle innumerevoli testimonianze a favore, di integerrimi uomini delle Istituzioni ricoprenti incarichi di alta responsabilità?
Al processo Contrada hanno testimoniato a favore Capi della Polizia, Alti Commissari, Direttori Generali dei Servizi, Prefetti, Questori, Generali ed Alti Ufficiali dei Carabinieri, Generale e Alti Ufficiali della G.d.F., Funzionari di Polizia, della Prefettura e dell’Alto Commissariato, Magistrati, eccetera… Tutti collusi, anche loro, con la mafia, forse?
A loro non è stato dato alcun credito, le loro testimonianze sono state disattese, non sono stati ritenuti credibili, attendibili, veritieri!
E tutto l’operato trentennale contro la mafia che il dott. Contrada ha opposto “e provato” di aver posto in essere Quale rilevanza ha avuto? Nessuna. E perché il Dott. Contrada avrebbe favorito la mafia? La sentenza di condanna non l’ha detto, non l’ha indicato. Si è limitata a dire che non c’era nessuna necessità di specificarlo. E ciò perché non poteva asserire che l’avesse fatto per denaro o per paura o per condizionamento familiare o ambientale o per qualsiasi altro motivo. Da tutte le risultanze processuali infatti il Dott. Contrada è risultato essere un funzionario onesto, di modeste condizioni economiche, coraggioso ed incurante del pericolo, senza alcun condizionamento personale, familiare o ambientale.
Infine, per concludere.
Per quale reato il Dott. Contrada è stato condannato con la devastazione della sua vita e quella della sua famiglia?
Per il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Reato che non esiste nel nostro codice penale. Nel nostro codice esiste il reato di cui all’art. 416 bis, cioè l’associazione per delinquere mafiosa puramente e semplicemente. Associazione di cui fai parte o non fai parte. Anche questo argomento dovrà essere oggetto di approfondito esame in una auspicabile riforma della giustizia che dovrà necessariamente essere attuata se vogliamo che il nostro sia uno Stato di diritto a pieno titolo. Noi del Comitato Bruno Contrada chiediamo la revisione del Processo ela Piena Riabilitazione di Bruno Contrada!
A tale scopo già da oltre un anno abbiamo predisposto una petizione
"PERLA PIENA RIABILITAZIONE DI BRUNO CONTRADA"
firma la petizione al link http://www.petitiononline.com/contrada/petition.html
http://blog.libero.it/lavocedimegaride/view.php?reset=1
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