Friday, May 25, 2007

IL FERMO DI JOHN GAMBINO





1. L'ACCUSA



La vicenda di cui trattiamo in questo capitolo ha un preciso nesso con quanto abbiamo descritto nel capitolo precedente. Il trait d'union è rappresentato dal falso sequestro di Michele Sindona.
I
l 9 ottobre 1979, proprio durante la presunta prigionia del banchiere, viene arrestato a Roma, nello studio dell’avvocato di Sindona, Rodolfo Guzzi, il mafioso Vincenzo Spatola, fratello del boss Rosario e coinvolto nel finto sequestro di Sindona: Vincenzo Spatola stava consegnando una lettera all'avvocato, già destinatario di numerose minacce. La Squadra Mobile di Roma, diretta da Fernando Masone, si rivolge alla Squadra Mobile di Palermo, diretta "ad interim" dal capo della Criminalpol della Sicilia Occidentale Bruno Contrada dopo l'omicidio di Boris Giuliano, per ottenere notizie più precise su Vincenzo Spatola: l'arresto di quest'ultimo coinvolge, dunque, nelle indagini anche la Questura di Palermo, che, fino a quel momento, non si era occupata della vicenda legata al sequestro Sindona, ma indagava da tempo sul gruppo mafioso facente capo alla famiglia Spatola e a Salvatore Inzerillo.
Tre giorni dopo, il 12 ottobre, il boss italo-americano John Gambino, cugino di Rosario e Vincenzo Spatola, anch'egli coinvolto nel falso sequestro di Sindona,
viene sorpreso al Motel Agip di Palermo da un maresciallo della Squadra Mobile e, con un'operazione coordinata da Contrada, viene fermato e condotto in Questura. Bruno Contrada, capo della Criminalpol e "ad interim" anche della Squadra Mobile di Palermo, che sta indagando sui rapporti tra la mafia siciliana e quella statunitense, fa rilasciare Gambino.
Il 16 ottobre, come abbiamo visto nel capitolo precedente, Michele Sindona ricompare a New York con la gamba sinistra ferita, sostenendo che tale ferimento sia avvenuto ad opera dei suoi rapitori nel corso del sequestro.
Il 18 ottobre viene arrestato Rosario Spatola.



2. LA DIFESA


2.1. Pedinamenti



Secondo l'accusa Contrada avrebbe lasciato andare John Gambino per fare il "solito" favore alla mafia.
Se così fosse, come mai lo stesso Contrada si diede da fare per coordinare tutta l'operazione che ha portato al fermo dello stesso Gambino? Forse che, agli occhi dei mafiosi, è più significativo e costituisce una prova di "fedeltà" maggiore arrestare uno di loro e poi rilasciarlo che non lasciarlo andare direttamente senza fermarlo? Non sarebbe stato più semplice depistare con un pretesto qualunque il maresciallo che aveva individuato Gambino al Motel Agip (e Contrada godeva certamente del prestigio e della stima dei suoi dipendenti per poter fare una cosa del genere senza che gli venissero chieste spiegazioni)? Se davvero Contrada voleva aiutare Gambino, non avrebbe spedito immediatamente un altro uomo a dare man forte al maresciallo che si trovava al Motel Agip. Non si sarebbe mosso dal suo ufficio per coordinare direttamente
in prima persona l'operazione. Non avrebbe neppure fatto fermare in seguito lo stesso Gambino: non avrebbe rischiato, come poi accadde effettivamente dopo il fermo, di coinvolgere nella cosa tutta la Squadra Mobile anzichè il solo maresciallo che aveva avvistato il mafioso.
Invece Contrada, tempestivamente informato dal maresciallo Curcio
della Sezione Antimafia della Squadra Mobile di Palermo, gli invia rinforzi, si reca personalmente sul luogo, partecipa al pedinamento, insomma segue e coordina scrupolosamente tutta l'operazione che conduce John Gambino a sedersi direttamente di fronte ad una delle scrivanie della Questura di Palermo. Quel giorno, a fianco del maresciallo Curcio si trovava anche Calogero Zucchetto, all'epoca autista della Sezione Antimafia della Squadra Mobile, che qualche anno dopo verrà assassinato dalla mafia in Via Notarbartolo, a Palermo. Se il lettore mi consente una parentesi, non posso fare a meno di ricordare che, poche ore dopo l'omicidio di Zucchetto, io mi trovai per caso a passare proprio da Via Notarbartolo: avevo diciannove anni, mi stavo recando ad una festa in compagnia di alcuni amici e tutti insieme notammo una gran confusione proprio all'altezza della piazzetta dove si trova il cinema Fiamma, a poche decine di metri dal punto in cui Via Notarbartolo incrocia Via Libertà. Non ci rendemmo conto di quello che era successo: lo avremmo scoperto l'indomani leggendo i giornali.
Tornando al fermo di Gambino, la fattiva presenza e la precisa supervisione di Bruno Contrada viene confermata dal maresciallo Curcio, che fu il primo ad accorgersi della presenza di Gambino al Motel Agip e telefonò immediatamente allo stesso Contrada, che si trovava in ufficio, alla Squadra Mobile. Dichiara Curcio nell'udienza del 7 febbraio 1995:

AVVOCATO MILIO - "E che le disse il dottor Contrada?"

CURCIO - "Il dottore Contrada mi disse: 'Va bene, guardi, non lo fermi. Veda un pochettino se vengono persone a parlare con lui'. E anzi mi mandò il maresciallo Sorce della Criminalpol, col quale siamo stati. Ad un dato momento, il Gambino chiama un taxi e va all'Alitalia per confermare la sua partenza, poi va in barberia, là all'albergo, per farsi la barba, poi chiama un'altra macchina con la quale si porta verso Passo di Rigano, dove scende dalla macchina e sale su un'altra macchina per andare verso Bellolampo. Saranno state le due, vedo il dottore Contrada, ero in macchina. Il dottore Contrada mi disse: 'Guardi, non si preoccupi, probabilmente sta andando a Torretta'. A fare il 'consolato' (praticamente un omaggio funebre, nda) dove c'era il morto, dato che si vede che avevano rapporti'."

PRESIDENTE INGARGIOLA - "Chi è che era morto?"

CURCIO - "Era morto Di Maggio, Saro Di Maggio, una persona molto, insomma..."


PRESIDENTE INGARGIOLA - "Era parente di questo Di Maggio?"

CURCIO - "Ah, non lo so, guardi, non lo so. Tra di loro, poi, anche se non erano parenti, comunque uno..."


AVVOCATO MILIO - "Quindi, diciamo, quello che lei ha saputo lo ha saputo dopo. Specificamente, che incarico le diede il dottor Contrada? Proprio, che le disse a proposito di Gambino?"

CURCIO - "Mi disse di non fermarlo, di vedere..."

AVVOCATO MILIO - "Di seguirlo?"

CURCIO - "Di seguirlo. E certo, l'ho seguito fino a Passo di Rigano, per vedere se veniva avvicinato da qualcuno da potere identificare, eventualmente. Questo..."

AVVOCATO MILIO - "Quindi, diciamo, c'era l'incarico di seguirlo, vedere tutto quello che faceva. Quindi, controllarne i movimenti."

CURCIO - "Certo. Tanto che l'ho seguito fino a quel posto."

Il pedinamento, disposto e coordinato da Contrada, prosegue anche con l'apporto del maresciallo Salvatore Urso, ex-sottufficiale in servizio alla Criminalpol di Palermo dal 1965 al 1984, che, sempre nell'udienza del
7 febbraio 1995, ricorda:

URSO - "Un giorno, non mi ricordo quando è stato, l'ho pedinato (John Gambino, nda) fino nei pressi di Torretta e dopo, di mia iniziativa, informando la sala operativa, non l'ho pedinato più perchè ho ritenuto opportuno così, temendo che nel centro abitato sarei stato scoperto."

AVVOCATO SBACCHI - "Sì."

URSO - "E così, l'ho abbandonato. Poi, in seguito, si è saputo che era andato, non so, da parenti, un funerale, una cosa del genere."

AVVOCATO SBACCHI - "Cioè, lei l'ha seguito con una certa discrezione... Ho capito bene?"

URSO - "Sì. Poi Gambino venne fermato perchè lui doveva chiarire."

Il maresciallo Urso conferma dunque tre cose importanti:
1) il pedinamento di John Gambino predisposto da Bruno Contrada;
2) la visita di lutto effettuata da Gambino;
3) la sua desistenza dal pedinamento per paura di essere scoperto, non certo per ordine di Contrada, tant'è vero che lo stesso Urso ricorda che poi Gambino venne fermato.

Nella medesima udienza, il maresciallo Calogero Salamone conferma ulteriormente il tutto, aggiungendo un particolare importantissimo, di cui tratteremo nel paragrafo successivo:

PRESIDENTE INGARGIOLA - "E quanto durò la custodia di Gambino in ufficio?"

SALAMONE - "Durò circa un giorno e mezzo, comunque fino alla sera, quando io, poi, sono andato via, a sera tardi era ancora lì, nel nostro ufficio. Poi, l'indomani, ho saputo che era stato rilasciato su disposizione del magistrato che dirigeva le indagini."

Il maresciallo Salamone ricorda con precisione che Gambino fu rilasciato non per iniziativa personale di Bruno Contrada ma soltanto su precisa direttiva del magistrato titolare delle indagini sul caso Sindona, ossia il giudice Ferdinando Imposimato. Ne parleremo fra poco. Intanto, occorre rilevare che Salamone, nel riferire di una custodia durata "un giorno e mezzo", intende precisare che tale custodia si protrasse dal 12 al 13 ottobre 1979. Ciò è stato confermato anche dal maresciallo Urso e dall'avvocato Cristoforo Fileccia, legale di Gambino, nell'udienza dell'11 aprile 1995:

FILECCIA - "Gambino si recò nel mio studio quasi contestualmente al suo rilascio, e cioè nel tardo pomeriggio o in prima serata, non oltre le 21-21,15, perchè io tutte le mattine son qua (a Palazzo di Giustizia, nda), questa è la mia seconda casa."

Visto che Gambino fu fermato il 12 ottobre ed interrogato nella tarda serata dello stesso giorno (ben oltre le "21-21,15"), il "tardo pomeriggio" o la "prima serata" in cui Gambino si recò da Fileccia "quasi contestualmente al suo rilascio" non può che essere il pomeriggio del giorno successivo, ossia il 13 ottobre. Il ricordo di Fileccia smentisce quanto affermato nella sentenza, cioè che, risultando che Gambino aveva pagato il conto dell'albergo anche per la notte del 12 ottobre, questo avrebbe dovuto significare che aveva trascorso la notte in albergo. Una deduzione che appare alquanto forzata. Gambino può aver pagato in anticipo, e, inoltre, il solo fatto di aver pagato per un servizio non vuol dire necessariamente che si è usufruito di quel servizio, soprattutto se è intervenuto un fatto imprevisto come un fermo di polizia. Commentando l'affermazione contenuta nella sentenza sul pernottamento di Gambino in albergo, gli avvocati Sbacchi e Milio scrivono nell'atto di impugnazione della sentenza medesima: "Rimane risibile l'affermazione contenuta in sentenza secondo cui, avendo il Gambino pagato il conto dell'albergo anche per la notte del 12 ottobre, ciò significherebbe che ivi vi ha trascorso la notte: ogni commento è superfluo e sarebbe offensivo per chi legge".



2.2. Telefonate ed incontri



Contrada, dunque, si adoperò in prima persona per fare in modo che John Gambino venisse fermato. Perchè avrebbe dovuto rilasciarlo? La risposta è la più semplice possibile, e la fornisce lo stesso imputato, con l'ausilio di preziosi testimoni.
Il rilascio di John Gambino avvenne, infatti, soltanto dopo che Contrada si fu consultato con il
giudice istruttore Ferdinando Imposimato, titolare delle indagini sul caso Sindona insieme al sostituto procuratore della Repubblica di Roma Domenico Sica. Avendo ricevuto da Imposimato la conferma che non c'erano, in quel momento, elementi sufficienti per poter trattenere Gambino, e in mancanza della possibilità, dunque, di ottenere entro quarantott'ore la necessaria convalida del fermo da parte dell'autorità giudiziaria, Contrada non potè far altro che rilasciare il mafioso fermato. I contatti in merito tra Contrada e Imposimato furono, secondo il ricordo dell'ex-capo della Squadra Mobile e della Criminalpol di Palermo, ben due: una telefonata ed un incontro a Roma.
Lasciamo la parola allo stesso Contrada, che
nell'udienza del 16 dicembre 1994 ha ricordato:

CONTRADA - "Noi non sapevamo che John Gambino avesse rapporti con gli Spatola in relazione alla vicenda Sindona. Sulla mia agenda da tavolo, il giorno 8 ottobre 1979, trovo un'annotazione: 'dottor Ciccone, Squadra Mobile, Roma' (il dottor Ciccone era il vicedirigente della Squadra Mobile di Roma, in quel periodo; il dirigente era il dottor Masone) e poi un'altra annotazioine sotto: 'questione Sindona - perquisizione Spatola', perchè, evidentemente, ci dicono di andare a perquisire l'abitazione di Vincenzo Spatola. Il giorno successivo non c'è nulla di relativo a questa vicenda; noto soltanto che c'è nel pomeriggio una riunione in Prefettura, un vertice per l'ordine pubblico, ma non credo che sia per Spatola, credo che sia, se ben ricordo, per il delitto Terranova, che era avvenuto il 25 settembre precedente. L'11 ottobre trovo un'annotazione che dice: 'telefonato dottor Ciccone, dottor Vasquez, Roma'. Quindi, evidentemente, ho telefonato alla Squadra Mobile di Roma al dottor Ciccone, che si occupava delle indagini su Spatola, e ho parlato anche con Vasquez, perchè, dopo l'arresto di Vincenzo Spatola, avevo mandato proprio il dottor Vittorio Vasquez a Roma a seguire le indagini, mentre a Palermo le indagini le seguiva il dottor Antonio De Luca. Lo stesso giovedì 11 ottobre io ho un incontro con il tenente colonnello dei Carabinieri Antonio Subranni, che era allora il comandante del Reparto Operativo dei Carabinieri, perchè anche i Carabinieri si interessavano con noi di questa vicenda Spatola. I primi mesi le indagini le facemmo assieme. Questo stesso giorno, ed è importante, perchè spiega poi la successione degli eventi. Io ricevo una telefonata dal maresciallo Crofa, che era il comandante della matricola del carcere di Spoleto, siamo a giovedì 11 ottobre, e Crofa mi dice che c'è un detenuto, Vincenzo De Caro, che vuole parlarmi. Lo stesso 11 ottobre, e questo lo ricordo bene perchè ho trovato copia del mio appunto, io faccio un appunto al questore Epifanio, dicendo che ho ricevuto questa telefonata e questo maresciallo mi ha detto che un detenuto voleva parlarmi, un detenuto in espiazione di pena, per dirmi delle cose che potevano interessare le indagini e che io ritenevo opportuno avere questo colloquio".
Previa autorizzazione del questore, dunque, il 12 ottobre, con un telex al Ministero degli Interni, viene chiesta l'autorizzazione per la trasferta di Contrada a Spoleto. Lo stesso 12 ottobre, come abbiamo visto, viene fermato, al Motel Agip di Palermo, John Gambino. A questo punto, sull'agenda di Bruno Contrada, alla pagina del 12 ottobre 1979, appare anche il numero telefonico dell'abitazione privata del giudice Imposimato. Questo prova che Contrada, che in più occasioni ha dimostrato precisione e accuratezza quasi pedante nelle annotazioni sulle sue agende (senza sapere che poi, in alcuni casi, alcune di queste annotazioni gliele avrebbero inopinatamente ritorte contro), telefonò effettivamente al giudice Imposimato.
Il 13 ottobre 1979, ossia il giorno dopo il fermo di John Gambino, Contrada, come risulta anche dalla sua agenda, si reca a Roma insieme al tenente colonnello Subranni per partecipare ad una riunione presso la Criminalpol Centrale. La riunione, fissata per mezzogiorno, è presieduta proprio dal giudice Imposimato. Quest'ultimo, presa visione del verbale dell'interrogatorio di John Gambino, avvenuto la sera precedente nella sede della Squadra Mobile di Palermo, dà a Contrada precise disposizioni di non trattenere oltre lo stesso Gambino, non emergendo alcun motivo che possa giustificare un provvedimento cautelativo e tenuto conto che la situazione investigativa è ancora molto confusa. E' stato lo stesso giudice Imposimato, nell'udienza del 31 marzo 1995, a ricordare, come riportiamo testualmente, l'assoluta nebulosità del caso e di quella fase dell'istruttoria di cui lui si stava occupando:

IMPOSIMATO - "All'epoca in cui istruii il processo Sindona non si era ancora stabilito se la scomparsa del banchiere fosse dovuta a sequestro di persona oppure fosse un fatto volontario, quindi eravamo nella fase delle indagini e quindi della ricerca di prove obiettive che, diciamo, facessero capire a me e al pubblico ministero Domenico Sica quali erano le circostanze della scomparsa e se Michele Sindona si trovasse negli Stati Uniti o in Sicilia. Insomma, era una fase molto fluida, molto incerta delle indagini istruttorie, comunque ricordo abbastanza bene questa fase, tenuto conto che sono passati, credo, sedici anni dal momento dei fatti."

Imposimato aggiunge, a proposito della telefonata ricevuta da Contrada:

IMPOSIMATO - "Questa è una circostanza che non ricordo assolutamente."

Ma specifica immediatamente:

IMPOSIMATO - "Diciamo che quello che ricordo è che, dopo che abbiamo ricevuto gli atti, non sapevamo quale fosse l'imputazione da elevare e quindi non c'era altro..."

PRESIDENTE INGARGIOLA - "L'imputazione da elevare a chi?"

IMPOSIMATO - "Appunto perchè era stato arrestato a Roma Vincenzo Spatola, per estorsione, credo, e quindi era un'imputazione un po' isolata perchè Vincenzo Spatola, fratello di Rosario Spatola, era andato dall'avvocato Rodolfo Guzzi a portare quella famosa lettera, però era un episodio limitato. Tutte le indagini collegate erano indagini nelle quali non si sapeva quale ruolo dare ai vari protagonisti che di volta in volta venivano alla luce nel corso di queste stesse indagini collegate rispetto all'arresto di Vincenzo Spatola. Quindi, diciamo, in quel momento, ripeto, la nostra prima preoccupazione fu quella di capire se si trattava di un sequestro di persona o di una scomparsa volontaria che potesse portare al ricatto, cioè capimmo che ci trovavamo di fronte ad un ricatto consumato da Sindona, perchè c'erano già state molte lettere."

INGROIA - "Sì, mi scusi se la interrompo, poi magari ci ritorniamo su questo punto, abbiamo un attimo divagato dalla domanda. La domanda in termini precisi è questa, la ripeto: lei ha mai saputo che John Gambino, in un certo momento, e precisamente, ripeto, il giorno dopo la formalizzazione del processo, fu accompagnato presso gli uffici della Questura di Palermo e i funzionari, a prescindere da chi, la contattarono chiedendole istruzioni sul da farsi? Lei ha mai saputo che John Gambino fu alla Questura di Palermo, sì o no?"

IMPOSIMATO - "No."

INGROIA - "Non l'ha mai saputo."

IMPOSIMATO - "L'ho saputo dopo, ovviamente, dopo la perquisizione."

INGROIA - "Quale perquisizione?"

IMPOSIMATO - "Dopo la perquisizione che fu fatta, perchè la figura di John Gambino è legata ad un episodio importante che credo non risulti dagli atti del processo, cioè al fatto che fu trovato in suo possesso un documento. Questo poi venne fuori quando ricevemmo il rapporto, un documento in cui era scritto 'Frank Food, New York, tva 741'. E allora, ricevuto questo documento, ovviamente chiedemmo alla polizia giudiziaria di sviluppare tutte le indagini per cercare di capire a che cosa si riferisse questo documento e credo che, dopo un certo numero di giorni di indagini, non si venne a capo di nulla. Dopodichè io mi feci dare il rapporto, mi feci dare questo documento e lo consegnai all'investigatore dell'FBI che stava a Roma e con cui ero in contatto, che si chiamaba Michael Jeuveler."

Il giudice Imposimato, dunque, dice di non ricordarsi della telefonata di Bruno Contrada ma ribadisce di continuo quella che, in quel momento, era la totale incertezza dell'attività investigativa da parte della polizia giudiziaria e dell'attività istruttoria da parte della magistratura: con la logica conseguenza, testualmente ricordata dallo stesso Imposimato, che "non si sapeva quale ruolo dare ai vari protagonisti che di volta in volta venivano alla luce". Dunque, nulla si sapeva di preciso neppure intorno al ruolo di John Gambino. E nulla era a disposizione dei magistrati inquirenti per poter convalidare il fermo dello stesso Gambino. E se non c'era alcun elemento contro Gambino in mano alla magistratura romana, che si stava occupando da tempo del caso Sindona, che elementi avrebbe dovuto avere in mano Bruno Contrada per trattenere l'italo-americano, considerando, fra l'altro, che era soltanto da pochissimi giorni che la Squadra Mobile di Palermo si stava occupando delle indagini sul medesimo caso Sindona?

Ma torniamo al racconto di Contrada. Il 13 ottobre 1979, sùbito dopo la già menzionata riunione con Imposimato presso la sede della Criminalpol Centrale, Contrada, seguendo l'indicazione di Imposimato, dà ad Antonio De Luca, il funzionario della Squadra Mobile di Palermo che, come abbiamo visto, seguiva le indagini sul caso Sindona nel capoluogo siciliano, disposizione di rilasciare John Gambino.
E' Vittorio Vasquez, che, come già detto, fu mandato da Contrada a Roma per collaborare con la Squadra Mobile capitolina dopo l'arresto di Vincenzo Spatola, a ricordare tutto e a confermare, per filo e per segno, la versione di Contrada. Nell'udienza del 10 gennaio 1995 Vasquez ha affermato, infatti, quanto segue:

VASQUEZ - "In quel periodo, attorno all'ottobre del 1979, fu riscontrata qui a Palermo la presenza di parecchi italo-americani, fra cui John Gambino, che prese alloggio in alberghi diversi. Poi, quando fu individuato mentre andava all'aeroporto, fu portato in ufficio.

AVVOCATO SBACCHI - "Cioè, in sostanza, c'era stato un servizio che riguardava John Gambino?"

VASQUEZ - "John Gambino, sì."

AVVOCATO SBACCHI - "Cioè che cosa? C'era un'attività di polizia?"

VASQUEZ - "Un'attività di polizia."

AVVOCATO SBACCHI - "Controllo? Che cosa era?"

VASQUEZ - "Un'attività di controllo con chi si incontrava, con quale macchina viaggiava, quando poi stava per portarsi in aeroporto, se non sbaglio, fu bloccato e portato in ufficio. Però io quella sera non c'ero perchè ero a Roma."

AVVOCATO SBACCHI - "Lei era a Roma per quali ragioni?"

VASQUEZ - "Per incontrarmi col dottor Imposimato per la questione Sindona."

AVVOCATO SBACCHI - "Sempre per la questione Sindona?"

VASQUEZ - "Sì, e l'indomani mattina sono venuti pure il dottore Contrada ed il colonnello Subranni, se non sbaglio, e si è discusso con Imposimato della posizione di John Gambino, e lui disse di lasciarlo andare perchè non c'erano elementi per poterlo fermare."

Vasquez conferma la cosa, ovviamente, anche nel controinterrogatorio condotto dal pubblico ministero:

INGROIA - "In quella circostanza (la riunione cui parteciparono Contrada ed Imposimato negli uffici della Criminalpol Centrale di Roma, nda) si parlò anche della presenza di John Gambino negli uffici della Mobile di Palermo?"

VASQUEZ - "Si parlò di che cosa dovevamo farne di John Gambino, se gli elementi che il dottor Imposimato aveva in suo possesso li ritenesse insufficienti per poterlo arrestare. E l'ho detto, no?"


INGROIA - "Sì. Mi scusi, in quella circostanza voi analizzaste il problema sul presupposto che John Gambino era in Questura a Palermo, se si poteva lasciarlo andare via o no? Ho capito bene?"

VASQUEZ - "Almeno che mi ricordo, sì."




2.3. Indagini e rapporti giudiziari


Secondo l'accusa e secondo i giudici Bruno Contrada avrebbe voluto aiutare John Gambino? E come mai il 21 ottobre 1979, a poca distanza dal fermo di costui, avvenuto il 12 ottobre precedente, lo stesso Contrada, in qualità di capo "ad interim" della Squadra Mobile, firma un preciso rapporto giudiziario in cui riferisce al giudice Imposimato gli esiti degli accertamenti eseguiti su Giovanni "John" Gambino a seguito del controllo effettuato in data 12 ottobre 1979, segnalando una vera e propria messe di particolari che non dovrebbero essere appurati e certificati da un poliziotto che vuole aiutare l'indagato? Scrive, infatti, Contrada nel rapporto che Gambino era risultato presente a Palermo sin dal 6 settembre precedente e aveva alloggiato dapprima presso l'Hotel Villa Igiea e
poi presso il Motel Agip, dal quale l'8 ottobre si era allontanato, verosimilmente lasciando la città, per poi farvi ritorno il 10 ottobre. Nonostante il giudice Imposimato gli avesse reso noto che non c'erano elementi per trattenere Gambino, Contrada,
nel presupposto che Gambino potesse comunque essere coinvolto nel caso Sindona, scrive ancora nel rapporto: "si è ritenuto opportuno effettuare sul conto di Gambino accertamenti allo scopo di rilevare eventuali elementi utili alle indagini in corso ed in particolare alla sua possibile partecipazione al fatto delittuoso". Nel rapporto si evidenzia ancora che Gambino, in quel periodo, era stato in contatto con Rosario Spatola, Rosario Fazzino ed altri soggetti collegati alla vicenda Sindona e che "le motivazioni dal Gambino addotte in ordine alla sua presenza in Sicilia sono apparse pretestuose".
In buona sostanza, se vuoi davvero "coprire" o agevolare un indagato, in primo luogo non lo fai neppure fermare, coinvolgendo un intero ufficio in una vicenda che poteva essere limitata al solo maresciallo Curcio (il quale non avrebbe verosimilmente opinato nulla se Contrada gli avesse detto di desistere dal pedinamento di Gambino: era comunque più facile, per un Contrada eventualmente "colluso", giocarsi le sue carte col solo Curcio che non con l'intera Squadra Mobile di Palermo).
In secondo luogo, sempre se vuoi favorire l'indagato medesimo, non stili un rapporto in cui:
1) dài conto di tutte le sue mosse in maniera dettagliata;
2) contesti i motivi da costui addotti per giustificare la sua presenza a Palermo;
3) nonostante il magistrato titolare delle indagini ti renda noto che non ci sono elementi per trattenere l'indagato, tu ti dài addirittura da fare per cercarli, questi elementi, per dar corpo alle indagini che in quel momento apparivano "nebulose" (come ha ricordato lo stesso giudice Imposimato);
4) rendi noto un fatto determinante e certamente nocivo per l'indagato, e cioè che costui si è incontrato con soggetti che appaiono collegati al fatto sul quale si indaga, mettendo vieppiù in discussione i motivi addotti dallo stesso indagato per giustificare la sua presenza in città. Se vuoi davvero proteggere l'indagato, ti accontenti di questi motivi per quanto "deboli" essi possano apparire;
5) fornisci al magistrato tutte le carte in regola per poter emettere un mandato di cattura nei confronti dell'indagato, cosa puntualmente fatta dal giudice Imposimato proprio sulla base degli inputs forniti da Bruno Contrada col rapporto del 21 ottobre 1979.

L'attività investigativa di Contrada sul caso Sindona e sui soggetti in questo coinvolti traspare con icastica evidenza anche da alcune annotazioni scritte sull'agenda di Bruno Contrada. Scrivono, infatti, gli stessi giudici alle pagine 1312 e 1313 delle motivazioni della sentenza di condanna di primo grado: "Dalle annotazioni presenti nell'agenda dell'imputato è possibile evincere che lo stesso 9 ottobre 1979 (giorno dell'arresto di Vincenzo Spatola a Roma e dies a quo dell'interessamento della Squadra Mobile di Palermo al caso Sindona, nda) il dottor Contrada era stato incaricato di eseguire alcuni atti di indagine nell'àmbito dell'inchiesta Sindona ed infatti, in esecuzione di decreto di perquisizione e sequestro emesso dal Procuratore della Repubblica di Roma in data 9 ottobre 1979, erano stati rinvenuti nelle abitazioni palermitane di Vincenzo Spatola e Rosario Spatola documenti utili ai fini delle indagini sul sequestro Sindona; nelle dichiarazioni rese alla polizia di Palermo, il Gambino aveva ammesso non soltanto i rapporti di parentela con gli Spatola ma anche i suoi contatti con gli stessi nel capoluogo siciliano sin dai primi giorni del settembre 1979, ammettendo altresì i suoi collegamenti con la famiglia mafiosa dei Sollena, peraltro già noti all'ufficio, avendo il dottor Giuliano redatto, nel periodo della propria dirigenza della Squadra Mobile, un rapporto datato 7 maggio 1979, inviato alla Procura della Repubblica e successivamente riutilizzato nell'àmbito della descritta operazione di polizia del maggio 1980, nel quale si evidenziava la pericolosità del gruppo mafioso siculo-americano dei Gambino ed i suoi collegamenti con i Sollena nell'àmbito degli accertamenti concernenti attività illecite del crimine organizzato attraverso operazioni bancarie tra l'Italia e gli Stati Uniti". E di questa attività investigativa di Boris Giuliano lo stesso Bruno Contrada parla e dà conto nel rapporto del 21 ottobre 1979, smentendo ulteriormente coloro che favoleggiano circa la presunta volontà di Giuliano di tenere Contrada all'oscuro delle proprie indagini e che accusano Contrada di aver subdolamente "smontato" il lavoro di Giuliano dopo la morte di quest'ultimo.

Del rapporto di Bruno Contrada del 21 ottobre 1979 la sentenza di condanna di primo grado parla alle pagine 1292 e 1293 delle motivazioni; alle pagine 1312 e 1313, invece, come abbiamo rilevato, dà conto delle sopra richiamate annotazioni sull'agenda dello stesso Contrada, confermando che quest'ultimo indagò, senza dubbio con celerità e in maniera particolareggiata, sul caso Sindona.
La sentenza parla di queste cose, sì, ma dimostra di non tenerne conto.


2.4. Elogi


Il 16 luglio 1980 il giudice istruttore Ferdinando Imposimato manda una richiesta di encomio per il dottor Bruno Contrada ed il dottor Vittorio Vasquez della Questura di Palermo al Capo della Polizia e al Capo della Criminalpol Centrale di Roma. Nella lettera si legge:

“Sento il dovere di esprimere Loro il mio vivo compiacimento per l’attività investigativa svolta dal dottor Bruno Contrada e dal dottor Vittorio Vasquez della Criminalpol di Palermo nel corso di complesse e delicate indagini relative alle attività criminose svolte a Roma, Milano, Palermo e negli Stati Uniti da pericolosi elementi appartenenti al crimine organizzato italo–americano, dediti al traffico di stupefacenti, all’esportazione di valuta e ad attività delittuose collegate…”.

“Il dottor Contrada e il dottor Vasquez hanno raccolto, pur tra notevoli difficoltà dell’ambiente dominato dalla paura e dall’omertà, una serie di precisi elementi comprovanti le attività illecite…”.

“Le precise e circostanziate risultanze delle indagini di polizia giudiziaria, apprezzate anche dagli investigatori dell'F.B.I., hanno consentito l’emissione da parte del Giudice di 8 mandati di cattura nei confronti di persone implicati in gravissimi delitti in Italia e negli Stati Uniti”.

Le parole del giudice Imposimato sono chiarissime. Inequivocabili. E ricordiamo, come per l'encomio chiesto per Contrada da Giovanni Falcone, che un giudice non è obbligato ad elogiare formalmente un poliziotto o a chiedere per lui un encomio ufficiale: si tratta di un atto assolutamente discrezionale. Se vuoi farlo, lo fai: altrimenti non ti costringe nessuno.
Perchè Imposimato chiese quell'encomio per Bruno Contrada? Perchè, in particolare, lo chiese nel 1980, cioè pochi mesi dopo la vicenda di John Gambino, sulla quale, in udienza, lo stesso Imposimato ha fornito una versione dei fatti diversa da quella fornita da Contrada? In altre parole, se, come ha dichiarato in udienza Imposimato, l'operato di Contrada circa il rilascio di Gambino fu criticabile, se Contrada aveva agito di sua iniziativa senza alcuna autorizzazione giudiziaria, se, insomma, Contrada si era davvero "comportato male", come mai Imposimato chiese di sua iniziativa un encomio per lui? Un giudice che dice di ricordare un atto abnorme commesso da un poliziotto (che rilascia senza motivo e senza autorizzazione ufficiale un indagato), un atto gravissimo, dunque, cosa fa poco tempo dopo quell'atto? Chiede addirittura un elogio per il poliziotto?
Non siamo forse autorizzati a pensare che, in realtà, quel poliziotto non avesse mai dato motivo di dubitare della propria condotta? Che avesse rilasciato John Gambino proprio perchè il giudice Imposimato medesimo aveva reso noto che non c'erano elementi sufficienti per trattenerlo? Che il giudice Imposimato abbia ricordato male in udienza quando ha sostenuto di non aver mai autorizzato il rilascio di Gambino?
Ma Imposimato ha cercato di rifugiarsi in calcio d'angolo sostenendo che fu lo stesso Contrada a sollecitargli quell'encomio! Come se un poliziotto che ha ricevuto nella sua carriera circa un centinaio di encomi, onorificenze e attestati ufficiali, avesse bisogno di chiedere l'ennesimo elogio per incrementare la sua collezione.
Non solo. Imposimato sostiene anche di aver cambiato opinione su Contrada in epoca successiva. Ma non specifica quando esattamente mutò la sua considerazione nei confronti del poliziotto. E quando sarebbe dovuto avvenire il cambiamento? Non bastava (se è vero quello che Imposimato sostiene) che Contrada se ne fosse infischiato della sua mancata autorizzazione e avesse comunque commesso un atto grave come il rilascio non autorizzato di un indagato?
"Nessuna considerazione" - scrivono gli avvocati Sbacchi e Milio nell'atto di impugnazione in appello della sentenza di primo grado - "merita la ritrattazione sul contenuto dell'elogio del dottor Contrada inviato all'allora Capo della Polizia dal teste Imposimato, che si copre di non credibilità quando afferma che forse quella lettera gli era stata sollecitata dal dottor Contrada medesimo, sul quale, comunque, in tempi successivi (quando?) aveva cambiato opinione!!".




2.5.
Omissioni


Se è vero che Bruno Contrada si macchiò di una gravissima infrazione come il rilascio non autorizzato di un indagato, alcune domande sorgono prepotenti, soprattutto in considerazione dell'importanza assoluta e della valenza addirittura internazionale delle indagini in corso:

1) come mai nessuno pensò di censurare ufficialmente il comportamento di Contrada (anzi, al contrario, come abbiamo appena visto, Imposimato propose Contrada per un encomio ufficiale)?

2) Come avrebbe potuto o dovuto Contrada giustificare il proprio atto davanti ai suoi colleghi, coinvolti a pieno titolo nello svolgimento delle indagini e nel fermo di John Gambino?


3) Come avrebbe dovuto giustificarsi anche di fronte alla Squadra Mobile di Roma?

Domande importanti, alle quali, però, non è stata data risposta. I giudici che hanno accolto la tesi di Imposimato e dell'accusa, nel farlo, avrebbero dovuto rispondere anche a queste domande, che costituiscono una diretta e logica conseguenza delle accuse formulate sul punto.
Invece, nessuna risposta in sentenza nè altrove.
Il cittadino Amleto continua ad accarezzare il suo teschio...




3. SFIDA AL LETTORE



Un mafioso fermato ma rilasciato perchè in quel momento non imputabile. E rilasciato non su iniziativa del poliziotto che lo ha fatto pedinare e ha coordinato l'intera operazione per fermarlo, ma su autorizzazione del magistrato inquirente: un magistrato che poi, però, non ricorda di aver dato questo avallo. Lo ricordano bene, però, un altro poliziotto, presente all'incontro fra il collega ed il magistrato, ed un altro poliziotto ancora, non presente all'incontro ma informato dei suoi esiti.
E' la parola di tre poliziotti (uno imputato, gli altri due testimoni) contro quella del magistrato. I giudici hanno creduto alla seconda, definendo uno dei due poliziotti testimoni, il dottor Vittorio Vasquez, "uno stretto collaboratore ed amico del dottor Contrada, rivelatosi particolarmente sensibile alla sua posizione" (pagina 1303 della sentenza di condanna di primo grado) e non tenendo in alcuna considerazione le affermazioni convergenti dell'altro poliziotto testimone, il maresciallo Salamone.
Non solum, sed etiam stigmatizzando come "tortuosa" l'intera linea difensiva sul punto dello stesso poliziotto imputato, Bruno Contrada.
Circa la prima valutazione, viene da pensare a che cosa serva difendersi in un processo se i testimoni che sostengono le tesi dell'imputato (e che sono essi stessi alti esponenti delle Istituzioni) non debbano essere creduti, venendo addirittura tacciati di aver detto il falso per una questione di amicizia con l'imputato medesimo. E se Vasquez ha veramente detto il falso, come mai nessuno lo ha denunciato per questo? Stessa domanda circa il maresciallo Salamone. "Presumibilmente" - scrivono gli avvocati nell'atto di impugnazione in appello della sentenza di primo grado - "in questo processo la Verità dei fatti e coloro che l'hanno sostenuta confliggono con la verità precostituita".
Circa la seconda valutazione, quella che definisce tortuosa la difesa di Contrada sul punto, questo è stato forse affermato dai giudici per via della faticosa ricostruzione che lo stesso imputato, peraltro già provato da una lunga detenzione in regime di carcerazione preventiva, ha fatto circa avvenimenti accaduti ben quindici anni prima. "Io, per riferire in maniera molto precisa, dettagliata" - ha dichiarato lo stesso Contrada nella già ricordata udienza del 16 dicembre 1994 - "avrei bisogno della consultazione di tutta la documentazione, perchè è pressocchè impossiubile ricostruire nei minimi passaggi fatti di quindici anni fa (...) E si corre il rischio di dire cose inesatte non volendo, perchè sono migliaia i dati, signor Presidente, migliaia gli avvenimenti, gli episodi, le storie in cui io sono stato dentro, migliaia le carte scritte, le relazioni, gli appunti, i rapporti, non si può avere tutto in testa. Quando io sono stato sottoposto ad esame da parte della Pubblica Accusa su questo argomento, non avevo visto le pagine della mia agenda da tavolo, quella che era sulla mia scrivania, dove segnavo le telefonate del mese di ottobre del 1979, poi, dopo aver avuto queste pagine, da semplicissime annotazioni ho ricostruito tutta la vicenda del fermo di John Gambino e dell'interrogatorio".
E' normale che possa volerci del tempo per ricostruire fatti antichi, soprattutto quando nel corso degli anni si è svolta un'attività, come quella di Bruno Contrada, che definire a tratti frenetica sarebbe soltanto riduttivo. E quando ci si è occupati di centinaia di casi, si è avuto a che fare con centinaia e centinaia di nomi, si sono ricevute o stilate migliaia di relazioni, note e carte varie.
E, a proposito di carte, lo stesso magistrato che non ricorda di aver dato l'autorizzazione al rilascio di John Gambino e condanna, di fatto, in udienza, l'operato del poliziotto, pochi mesi dopo il famoso rilascio propone un encomio per il poliziotto medesimo (imputato) e per il suo collega (testimone non creduto). Lui in persona, il poliziotto fedifrago, non altri; l'altro in persona, il poliziotto reticente o mendace, non altri. Di fronte alla carta che canta, il magistrato si difende dicendo che quell'encomio gli era stato sollecitato dal poliziotto e che lui, in seguito, sul conto di quel poliziotto aveva cambiato opinione. In seguito quando? Non è dato saperlo. Certamente, però, se questo mutamento di opinione è avvenuto, è avvenuto dopo la richiesta di encomio. O dobbiamo credere che un magistrato compia un atto assolutamente discrezionale e non dovuto, come una richiesta di encomio, nei confronti di un poliziotto sul conto del quale la sua opinione è diventata di segno negativo? Per di più, su sollecitazione del medesimo poliziotto sul quale ormai lui nutrirebbe dei dubbi?
In definitiva, e i giudici non hanno fatto nulla per mostrare di non crederci, sarebbe stato lo stesso Contrada a stimolare Imposimato perchè facesse quella richiesta di encomio. "Bravo, sette più!" direbbero Cochi e Renato. Complimenti! Che personalità! Un magistrato, un alto esponente delle Istituzioni, chiede un encomio sol perchè lo hanno spinto a farlo. Non curandosi, peraltro, che il destinatario principale dell'encomio possa aver commesso (e, a detta del magistrato, lo ha fatto) una grave irregolarità.
"Stamme tutte quante sutt'o cielo", chiosava il grande Eduardo a conclusione del suo immortale capolavoro Ditegli sempre di sì.
Con il giudice Ferdinando Imposimato (non ce ne voglia, per carità, nulla di personale: è solo una questione di dubbi ed equivoci da commedia napoletana) nella parte di Michele Murri.


SALVO GIORGIO

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