Friday, May 25, 2007

CONDOGLIANZE PERICOLOSE



L'ingegner Roberto Parisi, presidente dell'ICEM, società che ha in appalto la gestione dell'illuminazione pubblica a Palermo, e presidente della Palermo Calcio, viene ucciso a Palermo, insieme al suo autista Giuseppe Mangano, il 23 febbraio 1985.
Sùbito dopo l'omicidio, nel corso di quello stesso 23 febbraio, Bruno Contrada si reca a far visita alla vedova di Parisi, la signora Gilda Ziino. Il suo interesse non è di tipo professionale.
Contrada non è più in Polizia da tempo, in quanto è già transitato nei ruoli del SISDE a partire dal 1982 e dallo stesso anno riveste la carica di capo di gabinetto dell'Alto Commissario Antimafia, Emanuele De Francesco. Contrada non ha dunque, in quel momento, nessuna competenza diretta per quanto riguarda lo svolgimento degli accertamenti e delle indagini sul delitto. Egli si reca a trovare la vedova Parisi in quanto da tempo amico dello stesso Roberto Parisi: il suo intento è semplicemente quello di testimoniare il proprio cordoglio alla signora Ziino e di rendere omaggio all'amico scomparso.
Secondo il collegio giudicante, invece, Bruno Contrada, a proposito di quella visita, deve rispondere del fatto di aver "pòsto in essere comportamenti tali da ingenerare nella signora Ziino forti preoccupazioni e notevoli perplessità sulla finalità del suo intervento". Gli viene contestato di aver "consigliato prudenza alla signora Ziino nell'ipotesi in cui lei fosse a conoscenza di circostanze comunque utili alle indagini", come riportato dal PM nell'udienza del 20 dicembre 1994.
Vediamo come andarono realmente i fatti.

In udienza
Bruno Contrada ha spiegato a chiare lettere, su domanda del PM, che egli non una volta sola ma più volte esortò "la signora Ziino a non parlare con nessuno di vicende comunque connesse all'omicidio del marito o di vicende connesse all'attività imprenditoriale del marito. Perchè mi rendevo conto della, non dico pericolosità, ma dell'estremo carattere paludoso dell'ambiente in cui si era mosso l'ingegner Parisi nella sua attività imprenditoriale, e in cui si trovava poi, adesso, successivamente alla sua morte, la vedova, anche se nei primi giorni non manifestò l'intenzione di continuare l'attività imprenditoriale del marito, ma la manifestò successivamente. Quindi le consigliai di non essere molto loquace, se sapeva qualcosa, se le veniva in mente qualche episodio, qualche particolare, doveva stare molto attenta con chi parlava, anzi non doveva parlarne proprio con nessuno, tranne che con i magistrati inquirenti, è chiaro, io ricordo questo termine, non è che dissi con i giudici o con i poliziotti, dissi con i magistrati inquirenti".
Tornando sull'argomento in un'intervista rilasciata a Cristiano Lovatelli Ravarino poco prima della sua condanna definitiva in Cassazione, Bruno Contrada ricorda ancora: "Ero amico personale dell'ingegner Parisi e con mia moglie lo frequentavamo assieme alla sua prima moglie, la signora Elvira, perita tragicamente assieme alla figlioletta Alessandra di 6 anni sul volo 'Itavia' nella sciagura aerea di Ustica del 1980. Anni dopo Parisi si risposò con questa signora Ziino, con la quale allacciammo rapporti di buona cordialità, tanto è evero che intervennero al matrimonio di mio figlio Guido nell'ottobre del 1989 e a volte venivano anche a pranzo o a cena a casa nostra. Dopo il mio arresto, improvvisamente, e chiaramente influenzata da qualcuno, tirò fuori questa storia senza capo nè coda che io, per di più minacciosamente, le avrei intimato di non rivelare ad anima viva le tremende verità che sapeva sull'uccisione del marito. 'Ma lei cosa sa sulla morte di suo marito?' le chiesero al mio processo. 'Assolutamente nulla!' fu la sua risposta. Sembrava un film di Ridolini, se non si trattasse di sequenze tragiche sulla mia pelle. 'Signora Ziino, lei cosa sa di inconfessabile sull'agguato a suo marito?' - 'Io?? Nulla!!' - 'Ma allora cosa la minacciava il dottore Contrada di non rivelare?' - 'Ah, questo poi... non lo so!'. E allora che miseria di minacce avrei dovuto farle, io? Terrorizzarla perchè non rivelasse ciò che ignorava? La verità è che la signora Gilda, dopo la tremenda morte del marito, forse per un principio di esaurimento nervoso, si era messa a parlare a ruota libera con le ipotesi sui mandanti più strampalate e folli di questo mondo... Io, che credevo di essere considerato un buon amico di famiglia, mi limitai a dirle che, se sapeva qualcosa di certo, doveva parlarne solo con il magistrato inquirente... nemmeno con me che, essendo passato ai Servizi, non potevo per legge più condurre indagini di polizia giudiziaria!"


Questo basterebbe a spiegare ciò che è avvenuto. E' assolutamente normale che un amico, preoccupato dopo un fatto di quella gravità, nonchè un poliziotto esperto come Contrada, che ben conosceva il ginepraio costituito dall'ambiente imprenditoriale in cui si muoveva Parisi, abbia consigliato alla vedova di una vittima della mafia la prudenza più assoluta. E che le abbia consigliato non solo di rivolgersi soltanto ai magistrati inquirenti, ma di non parlarne neppure con lui, poichè all'epoca, come abbiamo visto, Contrada non era più in Polizia e non aveva un ruolo diretto nelle indagini. Cosa avrebbe fatto di diverso ognuno di noi al posto di Bruno Contrada?

E, soprattutto, quale inquietudine può provocare l'esortazione a parlare soltanto con i magistrati? Quale inquietudine, intendiamo, ulteriore rispetto allo stato di angoscia e di disperazione ingenerato nella signora Ziino dalla tragica scomparsa del marito. E' chiaro che una vedova, che non solo ha perso il marito ma lo ha perso in quella maniera così orribile e repentina, si trovi in uno stato di prostrazione psicologica. E allora, delle due l'una: o quello stato di prostrazione non lascia spazio ad altro tipo di inquietudini in quanto l'animo è già totalmente esacerbato, oppure potrebbe darsi che, ammesso che la Ziino abbia reagito davvero negativamente alle parole di Contrada, la sua sensazione negativa in tal senso dipenda da uno stato d'animo tempestoso che impedisce ad una persona, in momenti come quelli, di dare una corretta valutazione alle cose.
Ma ci sono due ulteriori rilievi da mettere in evidenza:

a.
la signora Ziino non diede mai particolare peso a quanto dettole da Contrada in occasione della visita di lutto , e ciò è inequivocabilmente dimostrato dal suo comportamento:

  1. la Ziino non riferisce nulla al giudice istruttore Giovanni Falcone, al quale, come vedremo, renderà una deposizione il 6 febbraio 1988. Se avesse avuto qualche sospetto su Contrada, ne avrebbe sicuramente parlato con Falcone;
  2. al sostituto procuratore della Repubblica Carmelo Carrara, che indaga a sua volta sulla morte di Roberto Parisi, la Ziino riferisce dell'esortazione a parlare solo coi magistrati ricevuta da Contrada, ma ne parla come di un fatto assolutamente normale. Non attribuisce ad esso alcuna valenza ultronea. Contrada viene ovviamente interrogato sul punto da Carrara e quindi messo a confronto con la Ziino: durante il confronto, la signora dice che il consiglio di Contrada non solo non aveva valenza intimidatoria, ma che lei stessa lo aveva accolto ed avallato come "raccomandazione amichevole";
  3. è normale che sia così. Quanto detto da Contrada alla vedova Parisi è assolutamente chiaro e inequivocabile, non c'è dietro nessun messaggio nascosto, nessun double talkin', nessun avvertimento e nessun sospetto. La signora Ziino continua, infatti, a frequentare Bruno Contrada e la sua famiglia, continua ad essere presente alle ricorrenze da loro festeggiate, insomma continua ad avere con Contrada e i suoi familiari dei rapporti normali ed amichevoli: nessuna paura, nessuna diffidenza e nessun riserbo nei confronti di Contrada, nessuna traccia, nella sua mente, di quei presunti comportamenti "anomali" di cui accuserà lo stesso Contrada anni dopo.

Passeranno infatti degli anni prima che la signora Ziino si ricordi improvvisamente di aver notato qualcosa di strano in Bruno Contrada e nelle sue parole quel 23 febbraio 1985. Illuminata da questo ricordo inopinato, Gilda Ziino ne parlerà col suo avvocato, Alfredo Galasso, esponente della "Rete", il movimento politico di Leoluca Orlando, e autore di un libro, "La mafia politica", in cui aveva già delineato inquietanti quanto, a volte, improbabili scenari quale quello che la signora Ziino contribuisce, ora, a tracciare. E lo traccia usando parole che non si era mai sognata di usare negli anni precedenti: dichiarerà, infatti, la signora, di aver provato, "vedendo il dottore Contrada, un senso di angoscia, paura, ansia e tensione nervosa".
Dov'erano riposte, nel suo animo, questa angoscia, questa paura, l'ansia e la tensione nervosa durante i lunghi anni, successivi all'omicidio del marito, in cui la Ziino aveva regolarmente e tranquillamente continuato a frequentare Contrada e la sua famiglia? Se una persona ti provoca angoscia e ansia, non la frequenti. E dov'erano sepolti questi freudiani stati d'animo quando la Ziino non rivelò nulla a Falcone e, sùbito dopo, raccontò a Carrara di aver ritenuto l'esortazione di Contrada una semplice "raccomandazione amichevole"?

b.
Tra l'altro, come da lei stesso ammesso in seguito, la Ziino non era a conoscenza di nessun tipo di notizia particolare che potesse avere rilevanza nell'àmbito delle indagini: dunque, cosa poteva apprendere e scoprire Bruno Contrada da una persona che non sapeva nulla?

Ma la telenovela non finisce qui. E' stata adombrata anche l'esistenza di una seconda visita, che in realtà non è mai avvenuta. Quello che i giudici hanno ritenuto il secondo comportamento "anomalo" di Contrada, sarebbe stato pòsto in essere ben tre anni dopo, ossia dopo che la signora Ziino era stata interrogata, il 6 febbraio 1988, dal giudice istruttore Giovanni Falcone: il PM e i giudici hanno voluto vedere in questo fantomatico secondo contatto tra Contrada e la Ziino il tentativo da parte del primo di avere notizie sull'andamento delle indagini. Ma il contatto non avvenne mai. E' ancora Contrada a spiegare esaurientemente come andarono le cose: "Io non ho mai chiesto alla signora Ziino se aveva reso una deposizione al giudice Falcone, non ho mai saputo che lei fosse stata ascolata, interrogata dal giudice Falcone, non sapevo neppure che Falcone si occupasse dell'inchiesta sull'omicidio Parisi, non l'ho mai saputo, quindi come potevo chiedere alla signora Ziino se era stata interrogata da Falcone?". Nel 1988 Contrada non lavorava neppure più a Palermo, essendosi trasferito ormai in pianta stabile a Roma. Tuttavia nella sua agenda si legge che il 7 febbraio 1988 (una domenica) egli, trovandosi a Palermo, si recò a Mondello, nella villa del gioielliere Fiorentino, suo amico, per ritirare un orologio riparato: da questo si è dedotto, in maniera che definire forzata sarebbe un eufemismo, che Contrada si recò invece nella villa di Gilda Ziino sulla circonvallazione di Palermo. Un vero e proprio volo pindarico: siccome il 6 febbraio 1988 la Ziino venne interrogata da Falcone, quell'annotazione del giorno successivo sull'agenda di Contrada "deve" necessariamente mascherare un incontro fra lo stesso Contrada e la signora Ziino, in modo da costruire il sospetto, e al diavolo orologi riparati e chincaglierie varie. Passi per l'interpretazione errata di annotazioni trovate sull'agenda di Contrada (come nel caso in cui l'ex-capo della Squadra Mobile e della Criminalpol di Palermo scrisse di aver "giocato a carte con Antonio", suscitando l'idea della conferma di una sua vocazione al gioco d'azzardo come sosteneva il "pentito" Cancemi, salvo poi dimostrare che intendeva riferirsi ad un'innocente partita a scopa giocata col figlio Antonio): ma elucubrare anche su annotazioni che sulle agende di Contrada non sono mai esistite...
E' per via di situazioni processuali incresciose come questa che gli avvocati Milio e Sbacchi hanno scritto nell'atto di impugnazione in appello della sentenza di condanna di primo grado: "Con amarezza e profondo disagio non si può non concludere con il rilevare che l'interpretazione dei risultati delle indagini è stata alternativamente arbitraria, cervellotica, preconcetta, in assoluto contrasto con gli esiti processuali ed ha costituito, sin dal primo momento, un gravissimo pregiudizio nei confronti dell'imputato, che, appare ormai certo, era stato condannato ad esser condannato".




SALVO GIORGIO


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