Friday, May 25, 2007

LA PRESUNTA DIFFIDENZA DI FALCONE




1. L'ACCUSA


1a. Le prime dichiarazioni di Tommaso Buscetta (1984)


Nel 1984 Tommaso Buscetta aveva, per primo, parlato così di Contrada: “Ho saputo da Rosario Riccobono che Contrada gli passava informazioni sulle operazioni della polizia”.


1b. La deposizione del giudice in pensione Antonino Caponnetto


Il 19 maggio 1995 sale sul banco dei testimoni l'ex-consigliere istruttore del Tribunale di Palermo, Antonino Caponnetto. Un nome leggendario a Palermo. Il successore di Rocco Chinnici, saltato in aria la mattina del 29 luglio 1983. Il padre del pool antimafia di Giovanni Falcone, Paolo Borsellino, Giuseppe Di Lello e Leonardo Guarnotta. Colui che, attraverso il coordinamento e l'accentramento delle indagini, cercò, tra i primi, di razionalizzare il lavoro d'inchiesta dei magistrati palermitani, incrementandone in maniera significativa l'incidenza e i risultati. Un uomo il cui prestigio non è minimamente in discussione. Ma la sua memoria, forse, sì.
Caponnetto ricorda benissimo di non aver mai avuto modo di sospettare di Contrada. Lo ha frequentato pochissimo, dice. Nel periodo in cui è stato consigliere istruttore a Palermo (periodo in cui, tra l'altro, Contrada è già capo di gabinetto dell'Alto Commissario Antimafia Emanuele De Francesco e quindi non ha più compiti strettamente operativi e d'indagine ma soltanto di coordinamento) Caponnetto ricorda di non aver avuto particolari motivi di relazione con Contrada e quindi, non si è formato un suo giudizio.
Caponnetto può dire, però, quel che pensava di Contrada Giovanni Falcone. "Questa è una tecnica dell’accusa in questo processo." - commenta a caldo Massimo Bordin, all'epoca direttore di Radio Radicale - "I sostituti procuratori che portano avanti il processo nei confronti di Bruno Contrada sono i sostituti procuratori Ingroia e Morvillo, che hanno più volte presentato al Tribunale testimoni che avevano da riferire di impressioni, avute da loro parenti o conoscenti uccisi dalla mafia, negative nei confronti di Contrada. Cassarà non stimava Contrada, non se ne fidava, così ha detto la vedova, probabilmente è anche vero, ma cosa c’entra con la possibilità che Contrada sia effettivamente colluso con la mafia? E così altre testimonianze…".
Ascoltiamo le parole di Caponnetto.

CAPONNETTO - "Io ricordo che una volta ascoltammo Contrada come testimone e insieme a me c’era Giovanni Falcone. Al momento del commiato gli stringemmo la mano, poi Contrada uscì e Falcone ostentatamente si pulì la mano sui pantaloni."

E’ un’immagine forte, sconvolgente per l’immaginazione dei signori lettori dei titoli dei giornali. Coloro, intendiamo, che si limitano a leggere soltanto i titoli. L'ottanta per cento dei già sparuti lettori italici. Ma, dietro la scarsa memoria e le laconiche parole di Caponnetto che generarono scandalizzati (e scandalosi) titoli a nove colonne, ci fu qualcosa di più.
Ne parleremo fra poco, nel paragrafo dedicato alla difesa. Occorre, infatti, premettere quello che fu l'operato di Caponnetto in relazione a quelle che poc'anzi abbiamo detto essere le prime accuse rivolte a Contrada da Tommaso Buscetta.



2. LA DIFESA


Caponnetto, in udienza, sostiene di ricordare perfettamente quella testimonianza di Tommaso Buscetta. Si trattava di una delle due volte in cui lo Buscetta aveva chiesto, oltre alla presenza di Falcone, anche la sua presenza come diretto superiore gerarchico dello stesso Falcone. Le uniche due occasioni, rammenta ancora Caponnetto, in cui egli interrogò il boss dei due mondi: nella prima occasione Buscetta parlò del fallito golpe Borghese, nella seconda parlò, fra le altre cose, anche della presunta collusione di Contrada con Cosa Nostra.
Lo fece in termini molto ambigui, riferendo (guarda caso) le parole di un morto, Stefano Bontade, che riferiva di un presunto rapporto di Contrada con un altro mafioso morto, Saro Riccobono. Buscetta si espresse invero in modo alquanto criptico, ma Falcone e Caponnetto passarono gli atti alla Procura perché aprisse un’inchiesta.
A questo punto, la deposizione in aula del giudice Caponnetto assume una veste singolare. Vediamo.

AVVOCATO MILIO - "Come andò a finire quel procedimento?"

CAPONNETTO - "Mah, io non me ne sono più occupato, non mi ricordo come andò a finire."

La risposta appare, come abbiamo detto, quanto meno singolare. Contrada era un funzionario di punta, uno dei poliziotti più noti di Palermo almeno da una decina d'anni, ossia da quando era diventato per la prima volta capo della Squadra Mobile. Certo, il momento era critico, c’era il primo maxi-processo a Cosa Nostra in preparazione, ma delle conseguenze di un fatto del genere, cioè le accuse del principale pentito di mafia al poliziotto più famoso di Palermo, fatto invero eclatante e destabilizzante, Caponnetto dice di non ricordare nulla. "Non me ne occupai più, non mi ricordo come è andata a finire".

La memoria di Caponnetto aveva già vacillato in precedenza, quando aveva sostenuto di aver incontrato Contrada "pochissime volte". Nella dichiarazione spontanea resa al termine di quell'udienza del 19 maggio 1995, però, Contrada nega questa circostanza e dice: "Non è vero, con Caponnetto ci siamo visti moltissime volte in occasioni conviviali, in occasioni ufficiali. Io lavoravo all’Alto Commissariato Antimafia, lui era consigliere istruttore. Le occasioni di vedersi non mancavano".
Ma se può avere poca importanza il fatto che Caponnetto ricordi poco o niente circa pranzi o cene in cui si sarebbe seduto alla stessa mensa con Bruno Contrada, ben più grave è che non ricordi l'esito di quell'inchiesta che lui stesso, dopo le dichiarazioni di Buscetta, aveva contribuito ad aprire.
Gli avvocati Sbacchi e Milio producono senza esitare la busta indirizzata a Bruno Contrada con dentro una sentenza-ordinanza di archiviazione e proscioglimento per Contrada recante la data del 7 marzo 1985 e la firma del consigliere istruttore Antonino Caponnetto. E, dentro la busta, ed il biglietto da visita del giudice Caponnetto con su vergate di proprio pugno delle inequivocabili parole di rinnovata stima e fiducia nei confronti del poliziotto ingiustamente accusato. Un atto, la scrittura di questo biglietto, assolutamente non dovuto e non previsto da alcuna prassi d'ufficio. Un atto discrezionale, segno e conseguenza di una precisa volontà di Caponnetto e di un suo pieno convincimento dell'onestà di Contrada e del fatto che questi era stato soltanto vittima della calunnia di un mafioso pentito. Ed è plausibile pensare che concordasse con questa archiviazione anche Falcone, che non era certo tipo da fermarsi davanti ad una verità da inseguire se era davvero convinto che bisognasse indagare ancora.
Ma qualcosa di strano accade nel prosieguo dell'udienza del 19 maggio 1995.
Dopo aver acclarato che quella prima indagine su Contrada si concluse con un pieno proscioglimento dell'ex-capo della Squadra Mobile e della Criminalpol di Palermo, la difesa incalza su quei due interrogatori resi da Buscetta a Caponnetto e Falcone e ne produce i verbali. Caponnetto scava ancora nella sua memoria.

CAPONNETTO - "Ricordo perfettamente che, pur senza fare nomi, Buscetta ci disse che nella polizia palermitana c'era molta corruzione."

AVVOCATO MILIO - "E' sicuro che avete verbalizzato bene?"

CAPONNETTO - "Guardi, avvocato, non me lo deve dire! Noi siamo abituati a verbalizzare bene!"

Chi potrebbe dubitarne? Ma l'avvocato legge il verbale e vien fuori che Buscetta disse l'esatto contrario: "La polizia palermitana è sempre stata al di sopra di ogni sospetto".
In un classico film hard-boiled di bogartiana memoria, i giornalisti, a questo punto, sarebbero immediatamente schizzati ai telefoni per comunicare alla redazione notizia e titolo da prima pagina. Ricordo che noi, invece, restammo seduti, in attesa di preparare il nostro servizio in seguito. Ma strabuzzammo gli occhi. Anche davanti alla replica di Caponnetto:

CAPONNETTO - "Allora si vede che avremo verbalizzato male."

Non è molto plausibile, nè invero accettabile, pensare che affermazioni di tale portata possano essere verbalizzate male. Non, vieppiù, da giudici dell'esperienza e del calibro di Antonino Caponnetto. Il quale, peraltro, pochi minuti prima, si era quasi stizzito nel rimbeccare l'avvocato Milio, ricordandogli che loro erano sempre stati abituati a "verbalizzare bene". In definitiva, Buscetta non stava parlando della cravatta o del taglio di capelli di Bruno Contrada. Stava parlando dell'affidabilità di una delle principali istituzioni dello Stato.
Ma, nel tentativo di ricostruire i suoi ricordi, Caponnetto aggiunge un'altra cosa. E anche grave:

CAPONNETTO - "Oppure, forse, Buscetta questa cosa ce l'avrà detta fuori verbale."

Ho sempre raccontato che la mia laurea in Giurisprudenza giace felicemente nei cassetti di Viale delle Scienze in quelo di Palermo e lì può rimanere. Ma ricordo di aver studiato che la legge obbliga i magistrati a verbalizzare TUTTO ciò che viene loro riferito da un imputato o da un testimone, soprattutto in occasione di un interrogatorio "epocale" come quelli resi dal primo pentito storico della mafia, l'uomo che poteva dare credito alla famosa teoria di Giovanni Falcone sul "terzo livello". Forse alcune dichiarazioni di Buscetta venivano verbalizzate ed altre no? Sarebbe un'infrazione gravissima.
Nonostante la tiepida reazione della Corte e dei PM a questa incredibile asserzione, Caponnetto, resosi probabilmente conto del ginepraio in cui poteva cacciarsi, cerca ancora di girare intorno all'argomento. Un tentativo in verità impacciato, che sortisce come unico effetto la seguente affermazione, inaudita quanto la prima:

CAPONNETTO - "O forse Buscetta quella cosa ce la disse nel momento in cui ci accompagnava alla porta della sua stanza..."

La scena appare surreale. Due magistrati del calibro di Caponnetto e Falcone che, invece di congedare il pentito, vengono congedati da lui! E, soglie ed usci a parte, non verbalizzano quanto un testimone chiave sta loro raccontando a proposito della lealtà o meno di alti esponenti delle forze dell'ordine?

L’inchiesta verrà riaperta nel 1992, in seguito alle rivelazioni del 'pentito' Gaspare Mutolo, dopo la tragica morte di Falcone e con Caponnetto ormai in pensione. Ed originerà la farsa di cui Bruno Contrada pagherà inopinatamente le conseguenze con la condanna a dieci anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa.
E veniamo ai pantaloni di Giovanni Falcone e alla sua mano che vi striscia sopra per pulirsi dopo aver stretto quella di Contrada.
A parte il fatto che, ammesso che ciò sia davvero successo (e Falcone, da morto, non ha avuto la possibilità di smentirlo o di confermarlo), due domande sorgono prepotenti: la cosa integra una fattispecie di reato per l'imputato Contrada? E poi, conoscendo l'enorme spessore e statura dell'uomo e del magistrato Falcone, dobbiamo proprio credere che, se gli avesse fatto così schifo stringere la mano a Contrada, gliel'avrebbe stretta? Falcone non era certo tipo da atteggiamenti formali o da manfrine di alcun genere. Crederlo sarebbe un attestato di disistima nei confronti suoi e della sua memoria di vero eroe dell'antimafia.
La seconda domanda la traduciamo in un'affermazione, sostanziata da un atto ufficiale acquisito nel fascicolo del processo Contrada. Oggi nessuno ricorda (rectius, molti fanno finta di non ricordare) gli encomi solenni che Contrada ricevette da quei giudici che l’accusa è riuscita a far credere che lui abbia tradito. Eppure verba volant sed scripta manent.
Ma torniamo alla deposizione di Caponnetto del 19 maggio 1995.
Còlto in fallo mnemonico circa l'esito dell'inchiesta sortita dalle prime accuse di Buscetta a Contrada, Caponnetto viene smentito anche circa la mano di Falcone. Ed in questo caso non ad opera della difesa di Bruno Contrada ma dello stesso Presidente della Corte, Francesco Ingargiola, il quale fa notare sommessamente a Caponnetto che, in realtà, a quell'interrogatorio condotto da Caponnetto e nel quale Contrada veniva sentito come teste sull'inchiesta riguardante l'omicidio del presidente della Regione Siciliana, Piersanti Mattarella (sul quale omicidio Contrada aveva indagato in qualità di capo della Criminalpol della Sicilia Occidentale) risulta che Giovanni Falcone non fosse presente! Dunque, non solo Caponnetto viene ancora una volta smentito quando dice di non aver avuto particolari motivi di relazione con Contrada, ma viene intaccata anche la sua dichiarazione sul famoso gesto di Falcone. Come poteva Falcone stringere la mano a Contrada e poi pulirsela sui pantaloni se non era presente?

CAPONNETTO - "Ma si vede che avremo sentito Contrada un'altra volta..."

AVVOCATO SBACCHI - "Abbiamo tutti gli interrogatori del nostro assistito. Non risulta un altro interrogatorio di Contrada dove fosse presente Caponnetto."

Lo stesso Contrada, nella dichiarazione spontanea a fine udienza, ribadisce: "Io da Falcone e Caponnetto insieme non sono mai stato interrogato, cercate nelle carte, debbono esserci dei verbali. Se ha ragione Caponnetto, troverete in un verbale in cui c'è la firma di Caponnetto a fianco di quella di Falcone e la mia come testimone, ma se è come dico io..."

Se è come dice Contrada, Caponnetto non ricorda affatto bene.


SALVO GIORGIO



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