Friday, May 25, 2007

L'ACCUSA DEL PENTITO COSTA




L'accusa del pentito Costa. Detto così (e letto con la "c" di Costa minuscola) potrebbe sembrare una sorta di tariffario del pentitismo. E, detto, invece, fra noi, non è escluso che possa essere proprio così. In fondo, lo Stato ha pagato (e paga) i pentiti, i quali, poverini, non potendo più mantenersi con le loro attività criminose, risultano dei veri e propri disoccupati regolarmente bisognosi di sussidio.
Nulla da dire, per carità, sull'alto concetto di solidarietà sociale. Ma le cifre che uno Stato longanime ha sborsato ai redenti del crimine contano parecchi zeri. Forse, anzichè nell'organigramma di un ente pubblico, conviene venir inseriti in quello di un ente criminale: la pensione è assicurata. E allora via ai confiteor e ai mea culpa. Forse i "pentiti" lo hanno fatto per sfuggire alle aleatorie garanzie dell'INPS...

Scherzi (e assegni) a parte, il titolo di questo capitolo si riferisce alle dichiarazioni di un "pentito" da calciomercato. Nel senso che il signor Gaetano Costa, di professione "punta" (nel senso che di coltello ci sapeva lavorare molto bene), era nato e cresciuto nelle file della 'ndrangheta calabrese, ed era ormai in procinto di passare a Cosa Nostra nel mercato di riparazione quando si è beccato un cartellino rosso.
Gaetano Costa (è triste, e sembra quasi blasfemo, rilevare che sia omonimo del procuratore di Palermo ucciso dalla mafia a Palermo nel 1980), chiuso nel suo "ritiro" carcerario, si rende protagonista di una vicenda alquanto strana.


SALVO GIORGIO

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