Friday, May 25, 2007

DI MASSONERIA E CARTE DA GIOCO




1. L'ACCUSA



Tra le accuse più farneticanti (praticamente tutte) mosse a Bruno Contrada, ve ne sono due che, francamente, absit iniuria verbis ma con un pizzico di amaro sarcasmo, potrebbero più facilmente trovare cittadinanza in una sceneggiatura di Terry Gilliam o in una trama di Barbey D'Aurevilly che non negli atti di un processo penale. Il primo, col suo stile ironico ed onirico, parlava, infatti, delle gesta del barone di Munchhausen, tra oscuri cavalieri e ancor più oscuri castelli, mentre il secondo ha dipinto, con la sua inconfondibile penna, le avventure del signor Marmor De Karkoel, un immaginario scozzese considerato, intorno alla metà dell'800, il più forte giocatore di whist del Regno Unito.
E di cappucci e mantelli, nonchè di assi di picche e kappa di cuori, siamo stati costretti a sentir parlare anche in occasione del processo a Bruno Contrada. Un'occasione culturale da non perdere.
Che ci porta a trattare delle due accuse in maniera contestuale poichè entrambe risultano accomunate dal medesimo denominatore surreale.


1.1.
Free Masons allo sbaraglio

I Free Masons o Franc-Maçons. I "liberi muratori", ossia i Massoni. Fondatori di una congregazione, o chiamatela come volete, che dichiara la sua discendenza dall'associazione di operai e muratori, appunto, la quale a sua volta si rifà alla leggenda di Hiram Abif, architetto del Tempio di Salomone. Una fonte storica retrodata ulteriormente la nascita della Massoneria: il Regius Manuscript o Poema Regius (detto anche Halliwell Manuscript, dal nome di chi lo scoprì nel 1840), databile intorno al 1390, nei suoi 794 versi scritti in inglese medievale e in rima baciata, fa, infatti, riferimento a molte frasi e concetti simili a quelli che si ritrovano nella Massoneria. Secondo tale narrazione leggendaria, la massoneria è geometria, arte o scienza d'eccellenza applicata alla muratorìa; primo maestro ne sarebbe stato Euclide e patria d'origine sarebbe stata l'Egitto, da cui giunse in Inghilterra nel X secolo d.C., al tempo del re Athelstan, che le diede le prime costituzioni. La Massoneria sarebbe nata come associazione di "mutuo appoggio e perfezionamento morale" tra artigiani muratori, per trasformarsi in seguito in una confraternita di tipo iniziatico caratterizzata dal segreto rituale, con un'organizzazione a livello mondiale. Proprio per questo motivo, nel corso del tempo, la Massoneria è diventata un elemento valido ad intorbidire ogni storia, quel pizzico di sale che serve per aggiungere un alone di mistero anche dove non serve, quella tinta fosca che garantisce una presa sicura e un'immancabile suggestione su tutti coloro che sono alla ricerca del thrilling o della spy story ad ogni costo.
Quella di aver fatto parte della Massoneria è una delle accuse rivolte a Bruno Contrada. Un ingrediente buono per tutte le stagioni, una sorta di agente universale come l'Atoetèr degli alchimisti, un elemento di mistero valido per poter gettare una coltre quasi esoterica su ogni vicenda. A parte quelle, ovviamente, dove la Massoneria o parti deviate di essa c'entrino veramente: e non è questo il caso.
Buona parte della stampa si è gettata a pesce su aspetti siffatti. Il cocktail fra Massoneria e Servizi Segreti deviati si è sempre rivelato in grado di soddisfare anche i palati più fini, ma ha certamente fatto presa sul signor Rossi che, alla fermata dell'autobus, col suo giornale in tasca (usato per lo più per ripararsi dalla pioggia o per leggere le critiche sull'ultimo calcio di rigore non assegnato alla squadra del cuore) ha avuto di certo un argomento in più da trattare con qualche altra povera vittima dei trasporti pubblici italiani. Sembra di sentirli proprio adesso con estrema chiarezza quei dialoghi alati, impastati e appestati di qualunquismo e dietrologia, che costituiscono l'ossatura dell'ormai povera e piccola filosofia italica, frusta erede di un passato glorioso: "ecco, hai visto? Quando si parla di Massoneria...", "certo, qualcosa dietro dev'esserci...", "chissà cosa stanno nascondendo..." e così via argomentando.
E giù fantasmagorie dominate da cappucci, strani riti al confine con un misticismo da salotto settecentesco, scene di rocambolesche fughe da aviti manieri, immagini di antri oscuri e atri come la barba di Cerbero, corruschi scintillii di spade e reboanti formule di iniziazioni. Tutto fa brodo per colpire l'immaginario collettivo e, dove non arrivano i programmi dedicati ai cuori infranti o le telenovelas, può arrivare la fantasia adeguatamente stimolata da gotiche suggestioni a cavallo fra mito e invenzione.
Intendiamoci. La Massoneria esiste e, a volte, una parte di essa qualche marachella l'ha combinata. Ma voler fare di tutta un'erba un fascio e farcelo passare per forza quel cammello dalla cruna dell'ago è davvero un'altra storia. Qualcuno ha anche pensato di tirare in ballo l'Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, nel quale Contrada fu quasi trascinato controvoglia e del quale non prese parte neppure ad una riunione. Un Ordine di cui facevano parte, peraltro, diversi rappresentanti delle istituzioni, senza che per questo siano mai stati inquisiti. Cosa c'entrano i Cavalieri di Gerusalemme con la Massoneria? Non c'è bisogno di una laurea in lettere per sapere che gli eredi dei Free Masons britannici non credono neppure nel Dio cristiano ma nel Grande Architetto dell'Universo. Mentre la versione moderna dei crociati (pacifici e non bellicosi, per carità: e per fortuna...) è nata per tutelare, appunto, il Santo Sepolcro di Gerusalemme: dove per tre giorni fu sepolto il corpo di Gesù Cristo, non quello di qualche Grande Architetto o Grande Ingegnere.
Questo improbabile pout-pourri si pone sullo stesso piano di quello che ha voluto vedere, ad esempio, il primo nucleo della mafia nei leggendari Beati Paoli che operarono a Palermo nel Basso Medio Evo. In comune fra i due fenomeni di marca sicula vi è, da un punto di vista folkloristico (e non senza una certa tristezza), il fatto che qualcuno abbia pensato di appioppare al mafioso Totuccio Contorno un soprannome ispirato al presunto, leggendario capo dei Beati Paoli, ossia Coriolano della Floresta. Ma, al di là di facili etichette da stadio o da rotocalco, sul piano storico resta sicuramente la cappa di mistero e di omertà aleggiante su entrambe le congregazioni segrete come elemento imprescindibile della forza delle stesse e, ad un tempo, della presa che entrambe hanno avuto sulla coscienza popolare. Comune a entrambi i consessi settari appare anche una ribellione, sia pur di diverso tenore e con diverse motivazioni, contro l'ordine costituito. Ma il parallelo si ferma qui, essendo gli incappucciati emuli della Sacra Veheme carolingia una congrega di giustizieri, al contrario dei picciotti, dei capidecine e dei capimandamento che della giustizia hanno avuto sempre un concetto a dir poco personale. Almeno nella leggenda e nella versione di Luigi Natoli, o William Galt che dir si voglia, e a parte i casi reali in cui qualche adepto ne avrà approfittato per fare i suoi interessi, i Beati Paoli hanno cercato di por riparo alle ingiustizie e alle soperchierie perpetrate dal sinistro duca di Albamonte: un tentativo di fare giustizia laddove uno Stato lontano mille miglia dalle miserie del popolo e dalle sue fatiscenti abitazioni risultava miseramente latitante o prostrato agli interessi dei potenti di turno. Ma la mafia, pur tentando di porsi come succedanea di uno Stato spesso assente, non è mai stata ispirata da alcun ideale di giustizia, con buona pace di chi ancora evoca codici d'onore e altri orpelli di tal guisa. Non si uccidevano donne e bambini? Beh, si potevano ben uccidere maschi della maggiore età per motivi che con la giustizia c'entravano quanto Richard Nixon con i pacifisti all'epoca della guerra del Vietnam.
Il lettore perdonerà la digressione storica, ma come si può rispondere ad accuse tanto vuote e deliranti come quelle oggetto di questo capitolo se non rifugiandosi nella storia o nella leggenda? O magari nella fiaba...
Eppure è nostro dovere di cronisti riportare sia l'accusa medesima che le prove contrarie che l'hanno demolita senza tema di dubbio. E, dato che l'accusa l'abbiamo riportata, passiamo alla difesa. Non prima, però, di aver precisato che fautore della fantastica accusa rivolta a Bruno Contrada di aver ceduto al fascino dei riti massonici è stato il "pentito" Rosario Spatola.


1.2.
Straight Flush

Ovvero la Scala Reale in inglese, così chiamata fin dai tempi del più antico giocatore di poker conosciuto, l'attore inglese Joseph Crowel. Di carte da gioco francesi e tavoli verdi applicati al caso che ci riguarda parla il "pentito" Salvatore Cancemi. Il quale fa la sua "apertura al buio", ossia effettua la sua puntata prima della distribuzione delle carte senza avere in mano neppure una "coppia vestita": parla, in altre parole, senza poter portare neppure un riscontro oggettivo a quanto afferma ai danni di Bruno Contrada. Altro che coppia di jack...
Un'accusa, quella di essere un accanito giocatore di poker, che viene rivolta inopinatamente all'ex-capo della Squadra Mobile e della Criminalpol di Palermo partendo, invero, da lontano. Perchè Contrada, poliziotto integerrimo e al di sopra di ogni sospetto, si sarebbe ad un certo punto venduto alla mafia? La paura è da escludere, visto che, anche dopo l'omicidio di Boris Giuliano, Contrada, dopo un iniziale, ovvio ed umanissimo momento di sbandamento, continuò a lavorare imperterrito e a produrre risultati eclatanti come quelli consacrati nel famoso rapporto del 7 febbraio 1981. Allora lo fece per soldi. Ma questi soldi dove sono? Non certo nel conto corrente di un funzionario dello Stato che ha sempre vissuto in una delle case della Polizia di Stato, non ha mai avuto automobili di lusso, ha sempre condotto una vita consona al suo reddito e a quello della moglie, insegnante di latino, e ha terminato di pagare il mutuo della casa al mare quando era detenuto in regime di carcerazione preventiva durante il processo di primo grado. Non esistono neppure i possedimenti in Uruguay sui quali qualcuno ha tentato di favoleggiare. Allora la conclusione, degna di un sillogismo aristotelico, non può certo essere che Contrada quei soldi in più non li ha mai avuti: deve averli guadagnati come i suoi personali trenta denari, frutto del tradimento, e poi, non essendo ragionevole pensare che li abbia perduti per distrazione, o che glieli abbiano rubati (figurarsi: un borseggio al capo della Squadra Mobile...), allora deve averli persi al gioco. Eccola, la conclusione degna di un sillogismo del filosofo di Stagira. Il tentativo, di fronte al fatto che dalle tasche di Bruno Contrada non sia mai venuto fuori altro che i suoi regolari stipendi, di dimostrare a tutti i costi che il poliziotto abbia ricevuto delle graziose regalie da boss e affini e poi le abbia incautamente puntate sul rouge quando invece era uscito sempre il noir.

Ma cos'ha detto, in sintesi, il "pentito" Cancemi? Nulla, come al solito, che possa aver saputo per apprendimento diretto, ma soltanto voci riferite da altri. E segnatamente da Pippo Calò (capo mandamento di Porta Nuova) ma anche da Giovanni Lipari (capo decina, o sottocapo, della famiglia di Porta Nuova). Voci secondo le quali Bruno Contrada sarebbe stato, oltre che un corrotto, anche un giocatore d'azzardo incallito e un donnaiolo impenitente.
Voci, soltanto voci. Puntualmente smentite dalle indagini svolte e dalle altre testimonianze.


2. LA DIFESA



2.1. Sotto il cappuccio niente


La certezza che si è raggiunta, sulla base di prove testimoniali e documentali, è che Bruno Contrada non ha mai fatto parte di nessuna loggia massonica.
Tonino De Luca, ex-collaboratore di Bruno Contrada, così si esprime nell'udienza del 28 ottobre 1994:

DE LUCA - "Bruno Contrada non è un massone."

Parimenti, l'ispettore Salvatore Nalbone ribadisce, nell'udienza del 20 gennaio 1995:

NALBONE - "Contrada non è mai stato un massone!"

Una settimana dopo, il 27 gennaio, Francesco Sirleo, dirigente superiore della Polizia già in servizio presso il SISDE e l'Alto Commissariato Antimafia, conferma:

SIRLEO - "Bruno Contrada non è un massone."

Dichiarazioni stringate ed inequivocabili. Non occorre aggiungere altro. Non c'è bisogno di fiumi di parole per esprimere un concetto così semplice, soprattutto quando la verità balza agli occhi in maniera icastica.

Ma, udite! Udite!, in questo caso c'è addirittura un "pentito" che scagiona Contrada. Si tratta del dottor Gioacchino Pennino, medico, mafioso e massone, che, nell'udienza del 19 giugno 1995, dice quanto segue:

INGROIA - "Lei ha parlato di ambienti massonici frequentati direttamente. Ha sentito mai fare in quelle occasioni il nome del dottore Contrada?"

PENNINO - "Assolutamente no!"

E' vero che lo stesso Pennino ha dichiarato di essere a conoscenza dell'esistenza a Palermo di una loggia massonica coperta cui aderivano circa trecento persone, tra cui funzionari pubblici, e dell'esistenza di un'altra loggia segreta, di cui sarebbe stato "venerabile maestro" lo stesso Stefano Bontade (che fu proprio colui che fece questa confidenza a Pennino), ma andare a pensare che Contrada facesse parte di logge segrete di cui non si ha notizia sarebbe come voler sostenere che tenere in mano un sasso con la mano destra anzichè con la sinistra mantiene lontane le cavallette da un raccolto sol perchè, mentre reggi quel sasso, non si vede all'orizzonte nessuna cavalletta. In altre parole, la classica argomentazione capziosa, degna dei paradossi dei filosofi cinici e cirenaici, nonchè del famoso paradosso di Zenone di Elea su Achille e la tartaruga. Nulla di quanto abbia cittadinanza ad entrare in un processo penale, dove chiunque si ammanti di una toga cattedratica in un qualsivoglia ateneo insegna che possono trovare posto soltanto prove certe ed inconfutabili, senza analogie e senza interpretazioni e, soprattutto, senza dubbi nè incertezze.

E, sempre in argomento di logge e costituzioni di Anderson, altro colpo mortale alla romanzesca accusa di far parte della Massoneria lo infligge Rosario Caro, proprio l'uomo che Spatola aveva chiamato a confermare le sue parole.

Ma a smentire la presunta appartenenza di Contrada alla Massoneria ci sono anche le ferme e decise parole del prefetto Riccardo Boccia, già Alto Commissario Antimafia, il quale, nell'udienza del 24 gennaio 1995, dichiara:

"Bruno Contrada non era massone. Si disse che apparteneva all'Ordine dei Cavalieri del Santo Sepolcro, ma erano cavalieri di quell'Ordine anche il prefetto Emanuele De Francesco, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e altri. E poi erano cavalieri della Chiesa, ma quale organizzazione criminale!"

2.2. Il piatto piange

Circa full e scale reali, invece, Tonino De Luca, ancora nell'udienza del 28 ottobre 1994, spende qualche parola in più:

DE LUCA - "Bruno Contrada non è mai stato dedito al gioco. Noi, anche con Giuliano, giocavamo a poker. Contrada mai."

Sulla stessa linea l'ispettore Salvatore Nalbone che, nell'udienza del 20 gennaio 1995, sottolinea:

NALBONE - "Contrada non ha mai giocato d'azzardo. Anzi, forse non conosce neanche le carte."

Il 27 gennaio successivo, il già citato
dirigente superiore della Polizia Francesco Sirleo ribadisce:

SIRLEO - "No! Contrada non ha mai giocato d'azzardo!"

E ancora,
nell'udienza del 19 giugno 1995, il medico della mafia, Gioacchino Pennino, che invece era un noto giocatore d'azzardo, afferma:

INGROIA - "Lei ha mai sentito dire che il dottore Contrada fosse giocatore d'azzardo?"

PENNINO - "No! Io non ne ho mai sentito parlare."







SALVO GIORGIO




4 comments:

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