Il processo Contrada è un colosso basato sui piedi d'argilla delle dichiarazioni dei "pentiti" e soltanto su di esse. I "pentiti". Evangelico morfema che in questo caso indica il fior fiore dei peggiori assassini, torturatori, estorsori, tagliagole, truffatori appartenenti a Cosa Nostra, mica all'Associazione Cattolica, anche se una certa parentela con i metodi della Santa Inquisizione c'è, visto il modo in cui venivano orribilmente torturati i "prigionieri" nella famigerata "stanza della morte" in Corso dei Mille, a Palermo. Gente che non si è posta scrupoli nello strozzare a mani nude un numero incredibile di vittime, tra le quali un bambino di 14 anni, il piccolo Giuseppe, figlio del pentito Santo Di Matteo; gente che non ha esitato ad "incaprettare" le proprie vittime, secondo quel macabro rituale di morte che prevede che la vittima sia legata prona con mani e piedi unite sopra la schiena e un capo della corda venga stretto al collo, in modo tale che, rilassandosi progressivamente ed inevitabilmente i muscoli degli arti superiori ed inferiori, la vittima stessa si strozzi da sola; gente che ha pensato bene di sciogliere cadaveri in vasche di acido oppure ha preferito gettarli in pasto ai porci; gente che non ci ha pensato su due volte prima di minare autostrade (strage Falcone) o piazzare bombe in piena città e in mezzo alla gente (attentato al rapido 904 Napoli-Milano del 1984, stragi Borsellino e Chinnici, bombe di Roma, Firenze e Milano del 1993). Personcine amabili, dunque, le cui dichiarazioni non hanno peraltro trovato alcun riscontro oggettivo. In questo caso, dei collaboratori d' "ingiustizia". Per non dar torto ai quali, però, i giudici di primo grado sono ricorsi a motivazioni risibili e grottesche, onde non compromettere l'unica arma rimasta allo Stato per combattere la mafia. Mentre i giudici del secondo ricorso in Appello e dei due ricorsi in Cassazione, che sono stati veri e propri cancellieri del Tribunale di primo grado che aveva emesso sentenza di condanna, non potevano mandare a monte uno degli ultimi fra i clamorosi processi istruiti dalla Procura di Palermo dopo le stragi del 1992 che fosse rimasto in piedi (l'altro processo ancora in corso, nel momento in cui scriviamo, è il processo a carico del manager della Fininvest Marcello Dell'Utri). Giulio Andreotti, Calogero Mannino, Francesco Musotto, Giuseppe Prinzivalli (il cui processo, in realtà, inizia prima del '92): tutti inquisiti dalla Procura di Palermo, tutti assolti. Contro Bruno Contrada ha forse giocato il tentativo di salvare i pentiti e il prestigio della Procura di Palermo, ma ha certamente svolto un ruolo l'ansia di vendetta di criminali da lui perseguiti ed arrestati in passato e, molto probabilmente, hanno inciso anche le trame di "Caino", come lo stesso Contrada e la moglie Adriana lo hanno definito, ossia il vero puparo che reggerebbe le fila di questi improbabili "paladini" della giustizia che sono stati alcuni "pentiti".
Esseri dei quali potremmo dire, con il grande Aldous Huxley: "Un essere umano non-artistico degenera, dinamicamente. Una volta partito male, diventa sempre peggiore. Soltanto un terremoto morale può arrestare questo processo degenerativo. Ma delle semplici punture di zanzara, come l'esperienza o la conoscenza, sono assolutamente inefficaci".
Questo è ciò che si è verificato in questa "cena delle beffe" che è stato il processo Contrada, la cui vera sentenza sarà affidata ai posteri e non sarà affatto ardua, così come non è stato arduo riconoscere l'innocenza di Socrate, del capitano Dreyfus o di Enzo Tortora. Riprendendo le parole di Huxley, chi ha seguito il processo di primo grado ha visto con i suoi occhi come la "conoscenza" sia stata considerata dai giudici non più di una fastidiosa e "semplice puntura di zanzara": la conoscenza dei fatti, rigorosa, oggettiva, incontrovertibile, da parte delle centinaia di funzionari e uomini delle istituzioni che si sono precipitati a difendere Bruno Contrada, è stata per i giudici di primo grado soltanto questo, una puntura di zanzara, appunto, cui hanno reagito con l'insetticida delle calunnie di vari "pentiti".
Calunnie. Accuse non provate. Fole. Semplici parole che non sono state suffragate dai fatti. Ma i giudici, in mancanza di riscontri oggettivi a queste parole, sono ricorsi a farragini del tipo "elementi indiretti di concordanza" o alla manzoniana dicotomia fra "vero" e "verosimile", hanno parlato di atmosfere e di sospetti. Bruno Contrada è stato accusato, più o meno velatamente, anche di essere rimasto vivo, mentre altri che combattevano contro la mafia hanno perso la vita: secondo alcuni, questa sarebbe la prova del suo "avvicinamento" a Cosa Nostra. Ma qualcuno, dopo le tragiche morti di Falcone e Borsellino, ha forse imputato al giudice Caponnetto di essere morto nel suo letto anzichè essere saltato in aria? O al giudice Ayala di essere ancora vivo? E' stato messo sotto processo anche l'ovvio, inevitabile, umanissimo dolore di Bruno Contrada per la morte del collega e amico fraterno Boris Giuliano: questo dolore, che in tutti noi avrebbe provocato scoramento e choc emotivo, è stato scambiato, sulla base di accuse da incubo, per inerzia e rallentamento dell'attività investigativa. Erano, invece, "soltanto" le lacrime di un uomo per l'amico rubatogli così crudelmente. Lacrime dalle quali fiorì, comunque, un'intensa e proficua attività d'indagine: come dimostrano fatti e atti, di cui parliamo in altra parte del libro, sed repetita iuvat (ci riferiamo, in particolare, al rapporto giudiziario del 7 febbraio 1981, con il quale Contrada denuncia mandanti ed esecutori del delitto Giuliano, rapporto che verrà avallato dal giudice istruttore Paolo Borsellino e porterà ad un processo che, anni dopo, confermerà il lavoro investigativo di Contrada). Si è giunti perfino ad ipotizzare un'impossibile "diffidenza" di Giuliano nei confronti di Contrada: impossibile perchè, ancora una volta, i fatti e gli atti hanno confermato l'affiatamento professionale fra i due poliziotti e i successi raggiunti insieme; impossibile perchè tutti quelli che hanno conosciuto Contrada e Giuliano e hanno lavorato quotidianamente a stretto contatto con loro hanno giurato sul fatto che il legame fra i due fosse più che fraterno. E ipotizzare che Giuliano non si fidasse di lui è la cosa che, più di ogni altra, ha davvero ferito l'imputato Bruno Contrada: forse la peggiore delle pene per crimini che lui non ha mai commesso.
Ripercorriamo, dunque, le tappe di questo vero e proprio horror movie che è stato girato da un regista occulto nella vita di Bruno Contrada. Un tragico film la cui trama è stata spiegata nella maniera più chiara ed evidente possibile dall'avvocato Pietro Milio, uno dei due difensori di Contrada fino al giudizio definitivo della Corte di Cassazione: "Il destino di Bruno Contrada era segnato ancor prima che cominciasse il processo." - ha dichiarato l'avvocato Milio sùbito dopo il verdetto definitivo della Suprema Corte, nel maggio 2007 - "Abbiamo lottato, ma Contrada era stato condannato ancor prima che fosse emesso il verdetto. La Suprema Corte, però, potrebbe non avere colpe in questa decisione in quanto si è limitata a leggere le carte scritte da altri giudici. Spero che gli italiani si indignino davanti a questa ingiustizia".
E andiamo a ripercorrere le tappe del processo, partendo dalla contabilità dei numeri del primo grado di giudizio:
- 169 udienze tenute tra Palermo, Roma e Padova;
- testimoni
- 208 atti acquisiti nel fascicolo processuale;
- udienze per la requisitoria;
- udienze per l'arringa difensiva;
- 8 ore e 20 di camera di consiglio prima dell'emanazione della sentenza di primo grado.
23 dicembre 1992: il GIP del Tribunale di Palermo Sergio La Commare firma un'ordinanza di custodia cautelare a carico di Bruno Contrada
24 dicembre 1992: Bruno Contrada viene arrestato dagli uomini della DIA (Direzione Investigativa Antimafia) nella sua casa di via Angelo Maiorana,
12 febbraio 1994: Bruno Contrada viene rinviato a giudizio. Sùbito dopo viene trasferito nel carcere militare di San Giacomo dei Militari, a Palermo, riaperto apposta per lui.
12 aprile 1994: prima udienza del processo di primo grado davanti alla V sezione penale del Tribunale di Palermo, presieduta da Francesco Ingargiola e formata dai due giudici a latere Salvatore Barresi e Donatella Puleo. La pubblica accusa è rappresentata dai sostituti procuratori della Repubblica di Palermo Antonino Ingroia e Alfredo Morvillo. La difesa è rappresentata dagli avvocati Gioacchino Sbacchi e Pietro Milio, del Foro di Palermo.
Nel corso delle 116 udienze del processo vengono ascoltati 140 testimoni.
31 luglio 1995: dopo 31 mesi di carcerazione preventiva, e sette istanze di rimessione in libertà rigettate dal Tribunale della Libertà cui si aggiungono più ricorsi presentati alla Corte Europea per i Diritti dell'Uomo e da questa non accolti, Bruno Contrada viene scarcerato. Il13 giugno di quello stesso anno era crollato in aula, durante un'udienza, còlto da un coma ipoglicemico.
19 gennaio 1996: al termine di una requisitoria protrattasi per 22 udienze, il PM Antonino Ingroia (l'altro PM Alfredo Morvillo ha, nel frattempo, abbandonato il processo, essendo divenuto GIP) chiede per Bruno Contrada la condanna a 13 anni di carcere.
5 aprile 1996: alle ore 20, dopo una giornata di camera di consiglio,
All'indomani della sentenza, il PM Antonino Ingroia dichiara ad Antimafia 2000: "Il processo a Bruno Contrada ha dimostrato, secondo l'impostazione dell'accusa, che il reato ascritto all'ex-uomo del SISDE non era un caso di infedeltà individuale, ma si inseriva, purtroppo, in un sistema di connivenza tra Stato legale e Stato illegale".
11 giugno 1998: inizia il processo d'appello davanti alla II sezione penale della Corte d'Appello di Palermo, presieduta da Gioacchino Agnello.
4 maggio 2001: nell'aula-bunker del carcere palermitano di Pagliarelli, i giudici d'appello assolvono con formula piena Bruno Contrada dal reato di concorso esterno in associazione mafiosa. I sostituti procuratori generali Ettore Costanzo e Nino Gatto avevano chiesto undici anni di carcere, uno in più rispetto alla condanna di primo grado: dieci ore di camera di consiglio portano i giudici d'appello a respingere la richiesta e ad assolvere l'imputato. La Procura di Palermo presenta ricorso in Cassazione.
12 dicembre 2002: la Corte di Cassazione, dopo una camera di consiglio di appena mezz'ora e senza neppure tenere conto della richiesta di assoluzione sollecitata finanche dal procuratore generale, annulla la sentenza d'assoluzione in appello e ordina un nuovo processo davanti ad una diversa sezione della Corte d'Appello di Palermo.
11 dicembre 2003: il processo di rinvio inizia davanti alla I sezione penale della Corte d'Appello presieduta da Salvatore Scaduti. Quest'ultimo è lo stesso giudice che l'1 ottobre 1993, in qualità di presidente del Tribunale del Riesame, aveva rigettato una delle tante richieste di scarcerazione di Contrada: avendo già giudicato l'imputato nel medesimo iter processuale, dunque, il giudice Scaduti avrebbe dovuto astenersi dal giudicare lo stesso imputato una seconda volta, in base a quanto stabilito dalla Corte Costituzionale che, con la sentenza 131 del 24 aprile 1996, ha modificato in tal senso l’art. 34 comma 2 del codice di procedura penale.
26 febbraio 2006: nell'aula-bunker del carcere palermitano di Pagliarelli, i giudici confermano, dopo 30 udienze (di cui 17 dedicate alla requisitoria dell'accusa e alle arringhe della difesa) e dopo 31 ore di camera di consiglio, il verdetto di primo grado che condanna Bruno Contrada a 10 anni di carcere e al pagamento delle spese processuali. Gli avvocati Sbacchi e Milio presentano ricorso in Cassazione.
Tristi analogie numerologiche, che solleticherebbero la fantasia del professor Irving Joshua Matrix: il verdetto della corte presieduta da Salvatore Scaduti è stato emesso alle ore 20, così come l'analogo verdetto di condanna emesso il 5 aprile 1996 dalla V sezione penale del Tribunale di Palermo, presieduta da Francesco Ingargiola; la camera di consiglio precedente all'emanazione della nuova sentenza di condanna in appello è durata 31 ore, così come 31 erano stati i mesi di carcerazione preventiva cui Contrada era stato condannato (perchè questa è la parola giusta) durante l'istruttoria ed il dibattimento del processo di primo grado.
27 marzo 2007: Bruno Contrada presenta al procuratore della Repubblica di Caltanissetta un esposto per denunciare “tutti coloro che si sono resi responsabili di azioni e comportamenti integranti estremi di reato, quali calunnia e diffamazione, falsa testimonianza e false dichiarazioni a PM, violazione del segreto investigativo e sviamento delle indagini, favoreggiamento personale e omissione di atti di ufficio, o altri illeciti penali”.
1o maggio 2007: la VI sezione penale della Corte di Cassazione, dopo che il procuratore generale Antonello Mura ha dichiarato nella sua requisitoria che "Contrada è colpevole al di là di ogni ragionevole dubbio" e ha detto a chiare lettere agli avvocati della difesa "le vostre obiezioni hanno tutte ricevuto risposte dalla sentenza di condanna dell'appello bis", conferma la sentenza di condanna in appello. Bruno Contrada ha quasi 76 anni (li compirà il 2 settembre). La ex-legge Cirielli, che nel 2005 ha modificato l'art. 47 ter dell'ordinamento penitenziario, introducendo la detenzione domiciliare per i condannati di età superiore ai 70 anni qualunque sia l'entità della pena inflitta o della pena residua da espiare, ha escluso da tale beneficio i condannati all'ergastolo, i condannati per i reati di riduzione in schiavitù, tratta degli schiavi, violenza sessuale di gruppo e per i reati che rientrano nella competenza della Procura Distrettuale Antimafia. Per Bruno Contrada si aprono le porte del carcere militare di Santa Maria Capua Vetere, vicino Napoli.
Gli avvocati avevano presentato in Cassazione cinque motivi di ricorso, con i quali chiedevano un terzo processo d'appello ribadendo la necessità di rinnovare le prove dibattimentali e sostenendo che nel corso dei vari gradi di giudizio ci sono state violazioni di legge sulla valutazione delle prove e sulla configurazione del concorso esterno in associazione mafiosa. "Non c'è alcun dubbio" - dichiarerà alla stampa l'avvocato Pietro Milio dopo la sentenza della Cassazione - "soprattutto sulla configurazione e sulla congruità delle inesistenti dichiarazioni generiche a carico di Contrada. Una sola volta i 'pentiti' hanno dato l'indicazione di un fatto preciso, circostanziato: tale indicazione è stata smentita clamorosamente, con documenti e con testimoni, mentre tutte le altre accuse sono del tipo 'sapevamo che Contrada era utile a Cosa Nostra, che Contrada faceva fuggire Riina, faceva fuggire questo, faceva fuggire quell'altro '. Ma quando? In che occasioni? Con quali modalità? Che cos'ha fatto di preciso? Niente! Al contrario, basta la dichiarazione di un criminale, pagato dallo Stato, per mandare in galera chiunque. Ricordiamoci il recente processo a carico di coloro che hanno arrestato Riina. Forse in questo nostro Paese è vietato fare determinate cose nell'interesse dello Stato e a difesa di tutti i cittadini e della loro sicurezza, come arrestare i latitanti, perchè ci si imbatte sempre in qualche (consentitemi il termine ironico) 'disguido'. Ben che vada si finisce sotto processo per anni, magari prima da ignoti e dopo quattordici anni tutti sanno chi sei tu che hai arrestato Riina, perchè per quattordici anni dopo l'arresto nessuno l'aveva capito in Italia chi aveva arrestato Riina".
L'avvocato Gioacchino Sbacchi, uno dei due difensori di Bruno Contrada fino all'ultima sentenza della Cassazione, prontamente intervistato da Sergio Scandura di Radio Radicale, commenta così la condanna definitiva del suo assistito: "Io sono fermamente convinto che il dottore Contrada sia innocente ed estraneo alle accuse. La storia dei processi è un'altra. Le verità processuali non sono le verità in assoluto. Evidentemente si è accreditata attraverso i 'pentiti' una verità che non è quella di Contrada, nel senso che non corrisponde alla verità vera. Non è un sofisma. Quando si creano regole di valutazione della prova per cui basta la somma di dichiarazioni inutili, inconsistenti per determinare la colpevolezza di un cittadino, è chiaro che si può soccombere malgrado si sia innocenti. Un giudice bravo può scrivere una cattiva sentenza, ma scritta tanto bene che regge a qualsiasi verifica. Il che non significa che sia un buon giudice. Bruno Contrada era stato assolto la prima volta in appello, ma la Cassazione ha annullato la sentenza di assoluzione ritenendo insufficiente e male articolata la motivazione".
L'avvocato Pietro Milio, l'altro difensore di Contrada fino all'ultimo giudizio di Cassazione, risponde così a Lorena D'Urso, che lo intervista anche in questo caso per conto di Radio Radicale: "Credo che questo sia stato l'esito fisiologico di un processo patologico. Un processo destinato a finire in questa maniera perchè il dottor Contrada è apparso subìto a noi difensori, fin dal momento dell'arresto avvenuto nel 1992, in virtù delle accuse che gli erano rivolte, destinato, o meglio condannato ad esser condannato. Così è stato. Oggi è finito il calvario del dottor Bruno Contrada, il calvario umano perchè a settantasei anni, e non faccio certamente la mozione degli affetti, andare ad espiare una pena ingiusta di dieci anni meno trentuno mesi significa pressocchè una condanna a morte. Che nel nostro Paese ancora c'è, evidentemente. Per un uomo giusto, un uomo che certamente noi siamo profondamente convinti sia innocente, perchè conosciamo le carte processuali oltrechè l'uomo e la sua attività sul territorio palermitano e ne abbiamo avuto la conferma attraverso la bocca di 140 testimoni funzionari dello Stato, pòsti nel nulla per preferire una decina di criminali assassini che vengono creduti, pagati, stipendiati dallo Stato nella indifferenza totale di chi sta al vertice dello Stato stesso". Circa quella che in quel momento appare una semplice possibilità, che poi in effetti si verificherà, cioè che Bruno Contrada possa presentarsi spontaneamente al carcere di Santa Maria Capua Vetere per cominciare a scontare la sua ingiusta pena, l'avvocato Milio commenta, in tono vibrante: "Un uomo dello Stato come Bruno Contrada, un uomo con la sua dignità istituzionale credo che non possa e non debba farsi mettere le manette dall'ultimo dei poliziotti ma andarsi a presentare dallo Stato e dire allo Stato 'io sono qua. Ti ho servito. Ora tu uccidimi pure. Mi consegno. Dammi pure il patibolo, dammi la camera a gas'. Ma noi siamo un Paese civile, non usiamo quei termini: usiamo il carcere, noi italiani...".
L'avvocato Milio ricorda anche che "in secondo grado è stato portato in dibattimento il 'pentito' Giuffrè, che non aveva mai rilasciato alcuna dichiarazione su Bruno Contrada. L'ordinanza della Corte che ha ammesso questo collaboratore al processo diceva, in buona sostanza, 'noi ci proviamo, può darsi che questo sappia qualche cosa'. In udienza il PM fece delle domande a Giuffrè, il quale rispose dicendo 'io non ho mai detto nulla di Bruno Contrada, però se lei mi fa qualche domanda non è escluso che io le possa dare una risposta'. La domanda gli fu fatta e le risposte furono date... Insomma, io mi chiedo se questo è il modo di amministrare la giustizia. Questo per riferire una cosa che peraltro sembra una 'banalità' rispetto ad altre cose capitate e passate sotto silenzio, anche in ragione del silenzio omertoso di alcuni mass-media, compresa l'incompatibilità del presidente del collegio giudicante nel secondo giudizio d'appello".
1 ottobre 2007: l'avvocato Enrico Tuccillo presenta istanza di differimento della pena per le gravi condizioni di salute di Bruno Contrada. E' la prima di una lunga serie.
31 ottobre 2007: la relazione del dirigente del servizio sanitario del carcere di Santa Maria Capua Vetere conferma quanto segue: "in un contesto di avanzata senescenza, tutte le malattie presentate assumono rilevanza clinica maggiore rispetto alle possibili complicanze. Alla luce di quanto sopra esposto, secondo scienza e coscienza, io ritengo che esista un'effettiva condizione di non compatibilità con il regime carcerario delle malattie sofferte, suscettibili di cure e di trattamenti vari ed articolati a carattere di continuità verosimilmente più efficaci se prestati in ambiente domiciliare esterno che non nelle istituzioni carcerarie". A conforto di questa relazione d'ufficio, il professor Silvio Buscemi, ricercatore presso l'Università di Palermo, diabetologo e specialista in ipertensioni e nefrologia, ed il dottor Antonio Calmieri, medico legale napoletano, nominati consulenti di parte dalla difesa di Bruno Contrada, confermano con dovizia di particolari e di spiegazioni che lo stesso Contrada soffre di patologie assolutamente incompatibili con la detenzione in carcere. In particolare, il professor Buscemi scrive: "è ragionevole affermare che le condizioni cliniche del dottor Contrada sono incompatibili con il regime carcerario, regime che è in grado di influenzare sfavorevolmente l'elevato rischio cardiovascolare e di impedire il corretto trattamento della malattia diabetica e nutrizionale".
12 dicembre 2007: il magistrato di sorveglianza del carcere di Santa Maria Capua Vetere, Daniela Della Pietra, pur prendendo atto delle relazioni mediche e del fatto che il detenuto Bruno Contrada ha perso undici chili dal momento del suo ingresso in carcere, rigetta l'istanza di differimento della pena appellandosi all'articolo 11 della legge penitenziaria, che impone la "costante attenzione" da parte della struttura sanitaria del carcere nei confronti del detenuto che versi in condizione di salute critiche.
17 dicembre 2007: Bruno Contrada nomina suo difensore l'avvocato catanese Giuseppe Lipera, con l'incarico di occuparsi della vicenda relativa all'istanza di differimento della pena.
20 dicembre 2007: l'avvocato Lipera rivolge una supplica al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, per il differimento della pena per Bruno Contrada per via delle sue gravi condizioni di salute.
1 gennaio 2008: Bruno Contrada, mentre ancora la Corte di Cassazione non ha ancora depositato le motivazioni della conferma della sentenza di condanna in appello, conferisce all'avvocato Giuseppe Lipera e all'avvocato Grazia Coco mandato affinchè i legali presentino domanda di revisione del processo.
4 gennaio 2008: gli avvocati Lipera e Coco presentano una seconda istanza di differimento della pena o concessione degli arresti domiciliari per motivi di salute, stavolta al Tribunale di Sorveglianza di Napoli.
8 gennaio 2008: la Corte di Cassazione rende note le motivazioni della sentenza con cui ha confermato la precedente sentenza della Corte d'Appello di Palermo, rendendo in tal modo definitiva la condanna di Bruno Contrada.
15 gennaio 2008: anche il Tribunale di Sorveglianza di Napoli rigetta l'istanza di differimento della pena o concessione degli arresti domiciliari per motivi di salute e rifiuta la scarcerazione a Bruno Contrada.
L'avvocato Lipera ricorre in Cassazione contro la decisione dei magistrati partenopei, sostenendo una grave violazione del diritto alla salute di Bruno Contrada.
16 gennaio 2008: gli avvocati Lipera e Coco presentano una terza istanza di differimento della pena o concessione degli arresti domiciliari per motivi di salute al magistrato di sorveglianza del carcere di Santa Maria Capua Vetere, Daniela Della Pietra. L'istanza verrà ancora una volta respinta.
Contestualmente, gli avvocati depositano l'istanza di revisione del processo presso la Corte d'Appello di Caltanissetta.
21 gennaio 2008: il PM presso il Tribunale di Caltanissetta chiede al Gip l'archiviazione del procedimento (iscritto al n.1877/07 R.G.N.R. mod.44) sollecitato da Bruno Contrada con l'esposto del 27 marzo 2007. Più che la sopravvenuta condanna definitiva di Bruno Contrada proprio per via delle dichiarazioni di coloro che lo stesso Contrada intendeva denunciare per diffamazione, il motivo della richiesta del PM nisseno sembra essere incentrato maggiormente sul fatto che, come scrive il PM medesimo nella richiesta d'archiviazione, "le condotte asseritamente diffamatorie e calunniatorie rese dai soggetti indicati dal Contrada (...) negli anni immediatamente seguenti il periodo delle stragi sono in ogni caso coperte da prescrizione". Bruno Contrada, ricevuta la notifica di questa richiesta di archiviazione il 4 febbraio successivo, manifesta immediatamente l'intenzione di proporre opposizione nei termini di legge.
7 febbraio 2008: il sostituto procuratore generale presso la Corte d'Appello di Caltanissetta, Luigi Birritteri, chiede il rigetto dell'istanza di revisione del processo presentata il 16 gennaio precedente.
11 febbraio 2008: gli avvocati Lipera e Coco resistono alla richiesta del sostituto procuratore generale Birritteri con un'articolata memoria difensiva.
22 febbraio 2008: dopo la relazione redatta il 18 febbraio dal medico legale nominato dalla difesa, Giuseppe Caruso, che ha visitato Bruno Contrada in carcere, gli avvocati Lipera e Coco presentano la quarta istanza di differimento della pena al magistrato di sorveglianza del carcere di Santa Maria Capua Vetere, Daniela Della Pietra. L'istanza viene rigettata.
25 febbraio 2008: l'avvocato Lipera incarica il professor Mario Barbagallo, ordinario di Geriatria presso l'Università di Palermo, di visitare Bruno Contrada in carcere e presenta, contestualmente, la quinta istanza di scarcerazione al giudice Della Pietra. L'istanza verrà immediatamente rigettata.
Lo stesso giorno la I Sezione Penale della Corte d'Appello di Caltanissetta rigetta la richiesta di revisione del processo Contrada presentata dall'avvocato Lipera il 16 gennaio precedente. I giudici nisseni ritengono "insussistente l'ipotizzata inconciliabilità" tra la condanna a Bruno Contrada e le assoluzioni per analogo reato di Giulio Andreotti e Corrado Carnevale, argomento che la difesa aveva prospettato come fondamento dell'istanza di revisione. L'avvocato Lipera presenta immediatamente ricorso in Cassazione.
8 marzo 2008: l'avvocato Lipera presenta la sesta istanza di differimento della pena al giudice Della Pietra, che oppone ancora una volta un deciso diniego.
22 marzo 2008: l'avvocato Lipera impugna il rigetto del giudice di sorveglianza del carcere e contro di esso presenta ricorso al presidente del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, Angelica Di Giovanni.
Contestualmente, il legale presenta al giudice Della Pietra la settima istanza di scarcerazione per motivi di salute, aggiungendo l'esplicita richiesta di sentire i medici che si stanno occupando (e preoccupando) della salute di Bruno Contrada.
27 marzo 2008: la I Sezione Penale della Corte di Cassazione, presieduta da Severo Chieffi, respinge il ricorso che la difesa aveva presentato contro l'ordinanza con la quale, il 15 gennaio, il Tribunale di Sorveglianza di Napoli aveva pronunciato l'ennesimo no alla scarcerazione di Contrada. E questo nonostante il sostituto procuratore generale Tindari Baglione, nella sua requisitoria scritta, avesse auspicato una nuova valutazione del quadro clinico del detenuto e avesse addirittura chiesto l'annullamento con rinvio dell'ordinanza del Tribunale di Sorveglianza impugnata.
3 aprile 2008: Bruno Contrada, in uno stato di denutrizione e di grave depressione, viene ascoltato dai giudici del Tribunale di Sorveglianza di Napoli. Dopo aver ribadito di essere detenuto ingiustamente, dichiara al presidente della Corte Rita Di Giovanni: "Intendo tornare a casa non per stare in spiaggia ma per tentare di curarmi meglio, per trascorrere gli ultimi giorni di vita accanto a mia moglie e poter morire a casa, perché sono consapevole di avere poca vita".
Nel contempo la difesa deposita presso la cancelleria del Tribunale di Sorveglianza un invito ad astenersi indirizzato al giudice Daniela Della Pietra, nell'eventualità che costei possa essere un membro del Collegio che deciderà entro pochi giorni sull'ennesima richiesta di scarcerazione dell'ex-capo della Squadra Mobile e della Criminalpol di Palermo. Il Tribunale di Sorveglianza decide di rigettare l'istanza di differimento della pena.
7 aprile 2008: il giudice Della Pietra, su delega del Gip del Tribunale di Caltanissetta Ottavio Sferlazza, interroga in carcere Bruno Contrada, in qualità di persona offesa. Dalle 10,30 alle 16,30 Contrada, assistito dagli avvocati Marilisa Prestanicola del Foro di Roma, e da Salvatore Ficarra del Foro di Catania, entrambi appartenenti allo studio di Giuseppe Lipera, ribadisce incessantemente che nei suoi confronti "sono state dette una marea di bugie e rappresentate tante circostanze non vere. Far luce sulle vicende narrate nell'esposto-denunzia presentato il 27 marzo del 2007 alla Procura della Repubblica di Caltanissetta significherà stabilire una volta per tutte precise verità". Contrada chiede che si indaghi seriamente e a fondo una volta per tutte: cosa che non sempre si può dire sia stata fatta nel corso della sua atroce vicenda processuale.
14 aprile 2008: Il PM catanese Lucio Setola chiede la condanna a 4 anni di reclusione per il "pentito" Giuseppe Giuga, reo di aver ingiustamente accusato Bruno Contrada di aver favorito la fuga del boss catanese Nitto Santapaola. Per l'altro "pentito" originario di Sommatino, in provincia di Caltanissetta, e coinvolto nella vicenda, ossia Calogero Pulci, il PM chiede l'assoluzione in quanto non lo ritiene l'istigatore di Giuga e l'ispiratore della falsa accusa da costui formulata. Il processo è stato aggiornato al prossimo 14 luglio.
16 aprile 2008: è il giorno dell'udienza in cui, a Caltanissetta, davanti al Gip Ottavio Sferlazza, dev'essere discussa l'opposizione di Bruno Contrada alla richiesta di archiviazione avanzata dal PM. La Procura nissena aveva infatti chiesto l'archiviazione del ricorso presentato da Contrada il 27 marzo 2007 per denunciare per calunnia coloro che lo avevano accusato nel corso della sua vicenda processuale.
17 aprile 2008: Anna Contrada, sorella del prigioniero, presenta una formale richiesta di eutanasia per il fratello presso il Giudice Tutelare del Tribunale Civile di Santa Maria Capua Vetere.
18 aprile 2008: l'avvocato Lipera si reca all'Ospedale Civile "Melorio" di Santa Maria Capua Vetere per andare a trovare Contrada, ricoverato d'urgenza per una sospetta ischemia cerebrale. Mentre la TAC smentisce l'ipotesi di ischemia, l'avvocato annuncia la presentazione dell'ottava istanza di concessione degli arresti domiciliari per motivi di salute ed una contestuale istanza di ricusazione del magistrato di sorveglianza del carcere sammaritano, Daniela Della Pietra, che ha finora rigettato le precedenti richieste di scarcerazione.
26 aprile 2008: l'avvocato Lipera presenta ricorso in Cassazione contro l'ordinanza con cui, il 3 aprile precedente, il Tribunale di Sorveglianza aveva rigettato l'ennesima istanza di differimento della pena o concessione degli arresti domiciliari per Bruno Contrada.
27 aprile 2008: Bruno Contrada, ancora ricoverato in ospedale, chiede con una lettera un colloquio col procuratore nazionale antimafia Pietro Grasso. Contrada specifica che l'incontro richiesto è relativo all'esposto-denuncia da lui presentato il 27 marzo 2007 alla Procura di Caltanissetta per denunciare i suoi accusatori per calunnia. Un esposto per il quale, lo ricordiamo, il PM presso il Tribunale di Caltanissetta aveva chiesto al Gip l'archiviazione.
7 maggio 2008: davanti alla III Sezione Penale della Corte d'Appello di Napoli, si tiene l'udienza di ricusazione del magistrato di sorveglianza di Santa Maria Capua Vetere, Daniela Della Pietra.
20 giugno 2008: nona istanza che il giudice Daniela Della Pietra, però, puntualmente respinge.
23 luglio 2008: il Tribunale di Sorveglianza di Napoli decreta la concessione degli arresti domiciliari per motivi di salute a favore di Bruno Contrada. Contrada, cui non viene concesso di tornare nella sua casa di Palermo in quanto giudicato "soggetto socialmente pericoloso", trascorrerà sei mesi nella casa della sorella Anna a Varcaturo, alle porte di Napoli.
Determinante, ai fini della concessione del differimento della pena, la perizia medica della dottoressa Agnese Pozzi, la quale offre la sua consulenza spontaneamente e gratuitamente.
1 ottobre 2008: i giudici consentono a Bruno Contrada di trascorrere il rimanente periodo di differimento della pena a Palermo. Contrada, però, non può lasciare Napoli in quanto in procinto di subire un delicato intervento chirurgico. In seguito al vero e proprio blitz che le forze dell'ordine effettuano all'alba a casa della sorella di Contrada, a Varcaturo, in maniera del tutto inattesa e senza alcun preavviso, onde prelevare il detenuto e trasferirlo in aereo a Palermo, Contrada accusa un malore.
7 ottobre 2008: la V sezione penale della Corte di Cassazione conferma il verdetto con il quale, il 25 febbraio, la Corte d'Appello di Caltanissetta aveva rigettato l'istanza di revisione del processo.
11 febbraio 2009: la Procura Regionale della Corte dei Conti di Palermo chiede un risarcimento danni a Bruno Contrada, la cui "condotta definitivamente accertata" - come scrive il firmatario della richiesta, ossia il vice-Procuratore Generale della Corte dei Conti del capoluogo siciliano Tommaso Brancato - "ha arrecato un danno all'immagine e al prestigio dell'Amministrazione di appartenenza quantificato in sede equitativa in 150.000 euro".
L'avvocato Lipera reagisce così: "Contrada è un uomo che ha dato la sua vita allo Stato e per come è stato trattato chiederemo noi il risarcimento". Lipera ha aggiunto che citerà a discolpa del suo assistito circa 140 testimoni, fra i quali l'attuale vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura, Nicola Mancino, già ministro degli Interni, l'ex-presidente della Repubblica Francesco Cossiga e l'ex-Capo della Polizia, Gianni De Gennaro.
SALVO GIORGIO
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