Piccola excusatio non petita al lettore.
L'eventuale farragine delle argomentazioni e di quanto scritto sotto dipende dalla complessità della vicenda trattata. Potrebbe essere, in realtà, una vicenda più semplice, in quanto i riscontri oggettivi, come vedremo, sono innegabilmente dalla parte di Bruno Contrada. Ma la valutazione che il Tribunale ha fatto delle risultanze processuali deriva da un procedimento che si è voluto seguire senza tener conto di questi riscontri oggettivi. Se si preferisce dar valore ad illazioni anzichè a dati certi, il rischio è quello di alimentare proprio farragini varie ed ingarbugliamenti. Con ovvie difficoltà anche per il cronista.
Come per altri capi d'accusa, anche qui sembra quasi che, absit iniuria verbis, si sia partiti dal colpevole per costruirgli il reato attorno. A tutti i costi. Volendo credere ad insinuazioni, a sospetti, a semplici cenni, anzichè ad elementi sostanziali ed oggettivi che sono rimasti lì, immobili, a pretendere un'attenzione che invece non è stata loro riservata.
1. L'ACCUSA
Oliviero Tognoli, industriale bresciano, è un nome noto agli investigatori internazionali per aver compiuto, nel corso degli anni '80, operazioni di riciclaggio di denaro sporco proveniente dal traffico di droga in favore dell'organizzazione mafiosa di cui faceva parte anche Leonardo Greco, mafioso originario di Bagheria. Tognoli e Greco vengono segnalati agli investigatori dal "pentito" Salvatore Amendolito.
Mentre tra Italia e Stati Uniti si sviluppa l'indagine che porterà alla luce la cosiddetta "Pizza Connection", l'11 aprile 1984 i quotidiani, ed in particolare il Giornale di Sicilia, riportano la notizia dell'arresto, nell'àmbito di quell'operazione, proprio di alcuni componenti o fiancheggiatori del gruppo mafioso per conto del quale Tognoli ha operato: fra gli arrestati spiccano i nomi degli imprenditori Corti e Della Torre.
All'alba del 12 aprile tre sottufficiali della Squadra Mobile di Brescia si presentano nella villa di Tognoli a Concesio, in provincia di Brescia, per procedere all'esecuzione di un fermo richiesto nei confronti dell'industriale dalla polizia palermitana. Ma Tognoli si trova a Palermo per motivi di lavoro. Alloggia insieme al suo collaboratore, Salvatore Tumino, presso l'Hotel Ponte. Quello stesso 12 aprile Tognoli sparisce da Palermo per sottrarsi all'esecuzione di quel fermo di polizia cui, nei giorni successivi, avrebbe fatto seguito un mandato di cattura.
Tognoli rimane latitante per quattro anni finchè, il 12 ottobre 1988, si costituisce in Svizzera, a Lugano. Interrogato una prima volta nel dicembre successivo dal procuratore pubblico svizzero Carla Del Ponte, nell'àmbito del procedimento penale intentato contro di lui dalla magistratura elvetica, Oliviero Tognoli non fa il benchè minimo accenno al nome di Bruno Contrada. Interrogato una seconda volta la mattina del 3 febbraio 1989, sempre nell'àmbito del procedimento penale svizzero e sempre dalla Del Ponte, ma stavolta alla presenza del giudice istruttore Giovanni Falcone (cui la Del Ponte aveva chiesto di assistere per avvalersi della sua esperienza in fatto di mafia), Tognoli lascia intendere che le notizie sul fermo di polizia tentato ai suoi danni a Concesio gli sarebbero provenute da Bruno Contrada. Pare che alla fine dell'interrogatorio, a verbale chiuso, Falcone abbia fatto il nome di Contrada a Tognoli e che quest'ultimo gli abbia rivolto un cenno affermativo col capo ed un sorriso dal significato ambiguo. Nel pomeriggio di quel 3 febbraio si svolgerà, senza la partecipazione del giudice Del Ponte, l'interrogatorio in sede di rogatoria internazionale chiesto da Falcone nell'àmbito del troncone siciliano delle indagini, e Tognoli, richiesto di confermare quanto detto la mattina col famoso cenno e col sorriso, si avvarrà della facoltà di non rispondere e non farà così mettere a verbale il nome di Contrada.
Per via di questo semplice cenno e del sorriso, che possono significare tutto e il contrario di tutto, l'accusa vuole che sia stato proprio Bruno Contrada, all'epoca capo di gabinetto dell'Alto Commissariato Antimafia di Palermo, ad informare l'industriale che la polizia era sulle sue tracce, determinando così la sua volontà di sparire da Palermo e di rendersi irreperibile.
Chiariremo questo punto nel paragrafo seguente, dedicato alla difesa. Ma puntualizziamo fin d'ora che, in un secondo interrogatorio in sede di rogatoria internazionale a Lugano, l'8 maggio 1989, lo stesso Tognoli dichiara qualcosa di ben diverso al giudice istruttore luganese Claudio Lehmann, alla presenza ancora di Giovanni Falcone, del sostituto procuratore della Repubblica di Palermo Giuseppe Ayala e del suo avvocato Franco Giannoni. Tognoli, questa volta, parla di contatti, precedenti alla sua fuga da Palermo, avuti con il fratello Mauro Tognoli e con Cosimo Di Paola, funzionario della Questura di Palermo.
Oliviero Tognoli verrà condannato sia dalla giustizia italiana che da quella svizzera.
2. LA DIFESA
2.1. Chi era al telefono?
Oliviero Tognoli fugge da Palermo il 12 aprile 1984 non per una "soffiata" di Contrada o per chissà quale altra fantomatica ispirazione, ma perchè intorno alle 8,3o di quella mattina all'Hotel Ponte, dove alloggia, come abbiamo visto, col suo collaboratore Salvatore Tumino, gli arriva la telefonata del fratello Mauro che lo avverte della visita della Polizia nella villa di Concesio.
Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, nell'interrogatorio del dicembre 1988 Oliviero Tognoli non parla di Contrada. Nel secondo interrogatorio, svoltosi ancora in Svizzera la mattina del 3 febbraio 1989, Tognoli avrebbe lasciato intendere ai giudici Del Ponte e Falcone che sarebbe stato Contrada ad agevolare la sua fuga da Palermo. Ma rifiuta di far mettere a verbale questa "dichiarazione" nell'interrogatorio del pomeriggio, quello svolto su rogatoria internazionale e che riguarda le indagini svolte dai magistrati palermitani. Leggiamo cosa scrive il magistrato Luca Tescaroli (che è stato pubblico ministero al processo per l'attentato a Giovanni Falcone presso la sua villa dell'Addaura, nei pressi di Palermo, attentato che fu sventato il 20 giugno 1989 e che avrebbe coinvolto, se fosse andato malauguratamente a segno, anche i giudici Del Ponte e Lehmann, presenti nella villa di Falcone) nel suo libro I misteri dell'Addaura: ma fu solo Cosa Nostra? a pagina 104:
"Inoltre v'è da rilevare che, contrariamente a quanto ha sostenuto Giannoni (il legale di Tognoli, nda), Tognoli non ha fornito una collaborazione 'esemplare', incondizionata e completa, come ha ben chiarito la dottoressa Carla Del Ponte. Ed ancora, quest'ultima ha smentito la circostanza, riferita dal Giannoni, che non sia stato redatto verbale dell'incombente istruttorio compiuto il mattino del 3 febbraio 1989. Del pari, la Del Ponte ha negato che Giovanni Falcone, nel corso dell'incombente da lei condotto, abbia manifestato di nutrire dei sospetti nei confronti di Contrada in relazione all'agevolazione della fuga di Tognoli. Appare utile, per apprezzare la portata della difformità tra il racconto della Del Ponte e quello del Giannoni, riportare il seguente brano della sua deposizione, nel corso del quale ritorna sul colloquio Falcone-Tognoli concernente Contrada (la deposizione fatta il 18 marzo 1999 da Carla Del Ponte al processo per l'attentato all'Addaura, dove era pubblico ministero, come abbiamo visto, proprio Luca Tescaroli, nda):
DEL PONTE - 'Allora torniamo a quel 3 febbraio, interrogatorio da me condotto nell'àmbito del procedimento penale svizzero. Ovviamente di Contrada non si è parlato, anche perchè io poi non sapevo nemmeno che esistesse il Contrada. Siamo a quel mattino, quando io interrogo Tognoli sul riciclaggio di denaro. Alla fine del nostro interrogatorio, firmato il verbale, il mio verbale, che va ai miei atti del mio procedimento penale, ad un certo momento ci troviamo, Giovanni Falcone ed io, soli con Tognoli. Si stava uscendo, Tognoli era lì, in un angolo, che aspettava che venissero a prenderlo. Ed è lì che io sento per la prima volta il nome di Contrada. Io, però, Contrada nemmeno sapevo chi fosse, proprio uno sconosciuto per me. Perchè sento il nome di Contrada? Perchè Giovanni Falcone chiede a Tognoli chi l'abbia avvertito che c'era un ordine di arresto nei suoi confronti. Tognoli diceva 'sì, è vero, sono stato avvertito, qualcuno mi ha fatto sapere'. E ad un certo momento Giovanni Falcone fa questo nome di Contrada e Tognoli dice di sì e fa segno con la testa. Al che, il mio verbale era già chiuso, però nel pomeriggio c'era il verbale su rogatoria, al che Falcone dice sùbito a Oliviero Tognoli: 'dobbiamo verbalizzare. Oggi pomeriggio verbalizziamo'. Al che Oliviero Tognoli dice: 'E no'. Poi, per noi, però, l'udienza è finita così, cioè, poi sono venuti a prendere Oliviero Tognoli, Oliviero Tognoli è stato accompagnato in carcere. Al pomeriggio io non ci sono più, quindi non sono un testimone diretto, però so che, poi, al pomeriggio c'è stato quello che lei racconta, e cioè che sono usciti dall'udienza perchè Tognoli non voleva verbalizzare. Sono usciti dall'udienza, ha conferito con il difensore; insomma, non si è detto niente di particolare, nel senso che in quel verbale si era messo che è vero che l'incontro non era stato casuale, ma non si diceva niente. Poi ci fu un secondo verbale, di maggio, dove viene fuori la storia di Di Paolo, o come si chiama questo... (Cosimo Di Paola, nda).' "
L'interrogatorio di Tescaroli alla Del Ponte offre altri elementi di conoscenza:
TESCAROLI - "Sì. Senta, lei sa dire chi abbia avuto la possibilità di udire questo breve colloquio tra Falcone e Tognoli?"
DEL PONTE - "Io credo che questo colloquio l'abbiamo sentito solo noi due (la Del Ponte e Falcone, nda) perchè la stanza dove si interrogava, che era la sala conferenze della Polizia ticinese, era grande e c'era un grandissimo tavolo, quindi, noi eravamo ad un angolo di... di questa camera, quindi eravamo solo noi due, non... non credo che ci fossero altre persone."
TESCAROLI - "Il difensore, Franco Giannoni, e, diciamo, se c'era, il dottor Ayala, che cosa fecero? Dove si trovavano in quel momento?"
DEL PONTE - "Il difensore credo fosse già partito, comunque... non era più lì, non so se... Perchè poi era tardi, no? Tardi nella mattinata. Il difensore non lo vedo più, Ayala, invece, stava dall'altro lato di questo tavolone e quindi non... non aveva sentito, anche perchè poi eravamo in quest'angolo, sì... no? Non è che si parlasse a voce alta."
(...)
TESCAROLI - "Senta, ma esattamente per quale motivo, diciamo, non venne riaperto il verbale, non venne verbalizzata questa indicazione di Tognoli?"
DEL PONTE - "Allora... Non venne aperto il verbale perchè quell'audizione della mattina era un mio verbale, nel mio procedimento penale, per cui per me questo fatto non aveva nessun interesse, per cui il mio verbale non veniva riaperto perchè non c'era motivo di riaprirlo, tanto è vero che nel pomeriggio c'era, invece, l'audizione di Tognoli su commissione rogatoria ed era lì che diventava... diventava importante."
TESCAROLI - "Nel corso della rogatoria che si tenne il pomeriggio cosa riferì il Tognoli sulle modalità con le quali si era dato alla latitanza?"
DEL PONTE - "Allora, premesso che io non ero presente, però ho poi saputo alla sera, perchè poi mi sono rivista con Giovanni, ho poi saputo che si era rifiutato di rispondere; che era stata pòsta la domanda e che si era rifiutato di rispondere, ammettendo, però, che naturalmente il suo allontanamento da Palermo non fosse stato casuale. E questo poi l'ho letto nel verbale del 3 febbraio. E naturalmente Giovanni Falcone disse a me e agli ufficiali di Polizia svizzera la necessità di convincere Oliviero Tognoli a verbalizzare quello che sapevamo."
TESCAROLI - "Ecco, durante, così, questo colloquio che ha avuto con Falcone, quindi, la sera, ha detto, chi altri vi era presente? Chi assistette? Dove vi trovavate?"
DEL PONTE - "Mah, se ricordo bene saremmo andati a cena, quindi c'era Ayala, c'ero io, c'era Falcone, c'erano sicuramente i due ufficiali di Polizia ticinese che partecipavano all'inchiesta, poi non... non so, comunque, queste erano più o meno le persone."
TESCAROLI - "I due funzionari chi erano?"
DEL PONTE - "Erano il delegato Gioia e Mazzacchi, ispettore o commissario."
TESCAROLI - "Mazzacchi. Sì. Senta, ecco, dopo, nei successivi interrogatori dopo il 3 di febbraio dell'89, lei effettivamente ritornò sulla circostanza delle modalità della latitanza del Tognoli?"
DEL PONTE - "Io tornai a parlare con Tognoli sul fatto... sulla necessità che lui verbalizzasse questo. L'ho fatto sicuramente una volta o se non anche di più, ma l'ho anche... ne ho anche discusso con i miei ufficiali di Polizia, che riuscissero, parlando con Tognoli, a convincere Tognoli a verbalizzare. Tognoli si è sempre rifiutato sia con me che con... di voler verbalizzare quello che ci aveva detto."
TESCAROLI - "Ecco, quali motivazioni aveva addotto per, diciamo così, non fornire le indicazioni di questo funzionario?"
DEL PONTE - "Ma la... la motivazione principale che ricordo io era che... questioni di... di incolumità, non tanto per lui, ma per la sua famiglia, che erano cose gravi e che lui non intendeva... non intendeva mettere in pericolo la sua famiglia. Per questo fatto."
Raffrontiamo quanto dichiarato dalla Del Ponte nel processo per il fallito attentato dell'Addaura con quanto la stessa ha dichiarato nel processo Contrada, nell'udienza del 28 giugno 1994. Parlando dell'interrogatorio della mattina del 3 febbraio 1989 (quello relativo al procedimento elvetico, non quello in sede di rogatoria internazionale, che si sarebbe svolto quello stesso pomeriggio) la Del Ponte afferma:
DEL PONTE - "Io sento che Giovanni Falcone chiede a Tognoli Oliviero chi fosse stato ad avvertirlo affinchè lui potesse rendersi latitante, sottrarsi comunque all'arresto. Io ricordo che Tognoli non voleva rispondere, si schermiva, e allora Giovanni fece un nome: Bruno Contrada. 'E' stato Bruno Contrada?'. Al che il Tognoli, guardandoci tutti e due, ci rispose: 'Sì' e fece un cenno col capo."
AVVOCATO MILIO - "Il dottor Falcone pronuncia il nome di Contrada?"
DEL PONTE - "Sì. Il dottor Falcone chiede a Tognoli Oliviero chi l'ha avvertito e fa il nome, fa la domanda, pone la domanda: 'E' stato Bruno Contrada?'. Al che Tognoli guarda Giovanni, guarda me, così... non risponde sùbito e poi dice 'Sì' e china la testa..."
AVVOCATO MILIO - "La prima volta che lei sente il nome di Contrada, questo nome chi lo dice? Il magistrato italiano o lo dice Tognoli? Cioè, chi pronunziò per la prima volta il nome? Chi?"
DEL PONTE - "Il nome Bruno Contrada lo pronunciò Giovanni Falcone quando pose la domanda a Tognoli."
L'avvocato Milio sposta l'attenzione sul primo interrogatorio svizzero di Tognoli, quello del dicembre 1988:
AVVOCATO MILIO - "Lei ha parlato degli interrogatori resi nel dicembre 1988 da Tognoli..."
DEL PONTE - "Verbale del dicembre 1988, un verbale del dicembre 1988, dichiarazioni nell'àmbito del nostro procedimento penale..."
AVVOCATO MILIO - "A proposito di questo, c'è nessun cenno a Contrada in questo verbale di interrogatorio del dicembre 1988?"
DEL PONTE - "No. Nessun cenno al nominativo indicato."
Il pubblico ministero Alfredo Morvillo, invece, incalza sull'interrogatorio del pomeriggio del 3 febbraio
MORVILLO - "Lei, comunque, conosce il contenuto di questo interrogatorio, l'interrogatorio del dottor Falcone in rogatoria?"
DEL PONTE - "Sì, certo."
MORVILLO - "Sa se in quell'interrogatorio venne affrontato l'argomento relativo all'identità della persona che aveva agevolato la latitanza di Tognoli? E cosa fu chiesto dal dottor Falcone e cosa fu risposto da Tognoli?"
DEL PONTE - "Nell'ultima pagina del verbale, l'ultima domanda, Giovanni Falcone pone appunto la domanda sulla latitanza, sul fatto che si è sottratto all'arresto. Gli chiede di dire chi, di verbalizzare chi l'ha aiutato, chi l'ha avvertito. E mi ricordo, ho letto il verbale allora già per i miei atti ma poi l'ho riletto, che la risposta di Tognoli era che si riservava di rispondere riferendo che comunque ammetteva che il suo allontanamento non era stato casuale... il suo allontanamento da Palermo. Così si chiudeva il verbale di questa rogatoria..."
Oliviero Tognoli non fa mettere a verbale la sua presunta "indicazione" di Contrada come autore dell'informazione che lo aveva fatto fuggire da Palermo. Ma nel successivo e già citato interrogatorio reso l'8 maggio 1989 al giudice istruttore Lehmann, al giudice istruttore Giovanni Falcone e al sostituto procuratore della Repubblica di Palermo Giuseppe Ayala, Tognoli fa mettere a verbale, e con dovizia di particolari, ben altro.
Un cambio di versione che i giudici palermitani del processo Contrada non hanno mai valutato positivamente, al contrario di quanto hanno fatto, ad esempio, col cambio di versione operato dal "pentito" Giuseppe Marchese a proposito del covo di Totò Riina a Borgo Molara (ne parliamo nel capitolo dedicato alla vicenda). Facciamo questa piccola equazione: gli àmbiti giudiziari sono, ovviamente, diversi, ma l'intersezione tra i due insiemi è rappresentata da Bruno Contrada: e i riflessi sul suo destino sono, purtroppo, in entrambi i casi, foschi. Tognoli e Marchese forniscono nel corso del tempo due dichiarazioni a testa, fra loro diverse: nella prima Tognoli (sia pur con equivoca mimica) accusa Contrada e nella seconda lo scagiona, mentre nella prima dichiarazione Marchese non parla di Contrada e nella seconda lo accusa. Tutti e due, dunque, cambiano versione, ma ecco cosa accade:
GIUSEPPE MARCHESE | OLIVIERO TOGNOLI |
| |
PRIMA VERSIONE: | PRIMA VERSIONE: |
- non accusa Contrada; | - accusa Contrada; |
- viene riscontrata da una "convergenza del molteplice" con le dichiarazioni dell'altro "pentito" Balduccio Di Maggio; | - non viene riscontrata, anzi non viene neppure messa a verbale; |
- non viene creduta dai giudici del processo Contrada. | - viene creduta dai giudici del processo Contrada. |
SECONDA VERSIONE:
| SECONDA VERSIONE: |
- accusa Contrada; | - scagiona Contrada; |
- non viene riscontrata in alcun modo, anzi viene palesemente contraddetta dai fatti oggettivi addotti da decine di poliziotti e carabinieri in servizio a Palermo nel 1981; | - viene messa a verbale e riscontrata da ben due |
- viene creduta. | - non viene creduta. |
Nel caso di Marchese i giudici optano praticamente per una sorta di "ravvedimento" del "pentito", che nel corso del tempo (un mese) si sarebbe spostato dall'errore alla verità e credono, così, alla seconda versione (quella che accusa Contrada); nel caso di Tognoli, al contrario, niente "ravvedimento", nessun passaggio dall'errore alla verità, anzi, al contrario, Tognoli avrebbe detto prima la verità e solo in seguito avrebbe mentito. E questo nonostante la prima dichiarazione di Tognoli non sia mai stata messa a verbale e non trovi alcun riscontro e la seconda, invece, ossia quella che scagionava Contrada, sia stata consacrata in un verbale e poi riscontrata attraverso la conferma pervenuta da altri testimoni.
Come fra poco vedremo. Ma ecco, intanto, quanto Tognoli dichiara testualmente l'8 maggio 1989:
OLIVIERO TOGNOLI - "La mattina del 12 aprile 1984 mio fratello Mauro mi avvertì da casa, a Brescia, telefonandomi all'Hotel Ponte di Palermo, che si erano presentati diversi poliziotti nella sede dell'azienda, o meglio a casa, per cui dedussi immediatamente che era stato emesso un provvedimento di cattura nei miei confronti, dato che mio fratello mi aveva informato che i poliziotti cercavano me, e ritenni opportuno, quindi, di abbandonare in tutta fretta l'albergo, dandomi così alla latitanza."
Nello stesso interrogatorio, Oliviero Tognoli parla anche di Cosimo Di Paola, un funzionario della Questura di Palermo, suo ex-compagno di scuola, che gli aveva genericamente suggerito di astenersi dal frequentare il mafioso Leonardo Greco. Ne parleremo più diffusamente nel secondo punto di questo paragrafo ('2.2. L'uomo dai capelli lunghi che non era più un poliziotto'). Per il momento concentriamoci sul ruolo fondamentale di Mauro Tognoli.
Che sia stato proprio quest'ultimo ad avvertire il fratello Oliviero dell'operazione di polizia nella villa di Concesio è stato confermato anche dallo stesso Mauro Tognoli, che, nell'udienza del processo Contrada del 29 novembre 1994, ha dichiarato:
MAURO TOGNOLI - "E telefonai all'Hotel Ponte e mi qualificai. Dissi: 'Vorrei parlare con il Tognoli, sono Mauro'. Dissi anche il nome e poi me lo passarono. 'Guarda che è stata qui la Questura e vogliono parlare urgentemente con te'. Lui mi ha detto: 'Sì, sì, va bene, grazie'."
INGROIA - "Se può ricordare più o meno che ora fosse..."
MAURO TOGNOLI - "Ma, guardi, saranno state circa, non so, un quarto alle otto, perchè mi hanno fermato, non so adesso l'orario, mi hanno fermato che non mi ricordo l'orario, saranno state, non so, le sette e mezza. Dopo un quarto d'ora, il tempo di, così, di far vedere i documenti e arrivare al bar, ecco, grosso modo attorno alle otto, ecco..."
AVVOCATO SBACCHI - "A proposito degli orari, quindi, vorrei un momento di maggiore chiarezza. Lei è sicuro dell'ora in cui ha telefonato, cioè, è andata via la polizia, poi l'hanno fermato e poi il resto?"
MAURO TOGNOLI - "Ma adesso io non è che intenda molto, però se... non so, basterebbe chiedere, se è possibile, adesso non so chi mi ha fermato, che ora era per avere la conferma. Dopo, guardi il tempo, calcoli cinque minuti..."
Nell'udienza del 17 giugno 1994, il maresciallo Oronzo Del Fato, uno dei sottufficiali della Squadra Mobile di Brescia che si era recato nella villa di Concesio all'alba del 12 aprile 1984, dichiara:
DEL FATO - "La mattina del 12 aprile 1984, la mattina presto, non ricordo l'ora, presto, comunque, siamo andati là in casa, in questa villa..."
INGROIA - "Ricorda più o meno quanto durò la perquisizione?"
DEL FATO - "Ma un paio d'ore, penso, un paio d'ore..."
INGROIA - "Ricorda, più o meno, a che ora vi siete recati in questo luogo per fare la perquisizione?"
DEL FATO - "Sei, sei e mezzo, penso... del mattino..."
AVVOCATO MILIO - "Lei può indicarmi orientativamente l'orario in cui vide uscire il fratello di Oliviero Tognoli dalla villa?"
DEL FATO - "Non ricordo."
AVVOCATO MILIO - "Grosso modo..."
DEL FATO - "Non ricordo perfettamente, comunque... un'oretta, tre quarti d'ora, un'ora da quando abbiamo finito la perquisizione. Da quando siamo usciti dall'appartamento del Tognoli abbiamo fatto un appostamento per circa tre quarti d'ora, un'ora, nelle vicinanze della villa."
AVVOCATO MILIO - "E le operazioni di perquisizione quanto erano durate, grosso modo?"
DEL FATO - "Non ricordo perfettamente."
AVVOCATO MILIO - "Dopo quanto tempo avete visto uscire Mauro Tognoli?"
DEL FATO - "Dopo tre quarti d'ora, un'ora..."
PRESIDENTE INGARGIOLA - "Lei è sicuro dei tre quarti d'ora, un'ora?"
DEL FATO - "Penso..."
AVVOCATO MILIO - "A me interessa che intervallo di tempo passa tra l'appostamento e l'uscita di Mauro Tognoli..."
DEL FATO - "Va be'... Il fatto è successo nel 1984, non è che sono cose che io possa ricordare... Il tempo di quindici minuti, un quarto d'ora, o di mezz'ora, questo è il fatto. Io ricordo una mezz'oretta, se poi è stato quindici minuti o tre quarti d'ora..."
Ma, se i ricordi di Del Fato sono poco chiari (e può capitare, visto che si tratta di un fatto risalente a dieci anni prima: del resto, non ha molta importanza se la telefonata avvenne alle 8,15, alle 8,45 o poco dopo. L'importante è che ci fu e che a farla fu non Contrada ma Mauro Tognoli), i ricordi del maresciallo Mario Gandico, uno dei due colleghi che si trovavano con lui quella mattina sono più precisi. Nell'udienza del 21 giugno 1994, infatti, ascoltando Gandico, apprendiamo che:
GANDICO - "Quella mattina io e altri due colleghi siamo stati incaricati di portarci in casa Tognoli per procedere al fermo. Siamo arrivati a casa verso le 6,30. (...) Senonchè, dopo circa un'ora e mezza, un'ora e quaranta circa, due ore non son passate, comunque, visto che in casa Oliviero Tognoli non c'era, andammo via, siamo usciti di casa dopo le otto. Però, probabilmente, sa come si fa nel nostro mestiere, magari avendo la sensazione che questo fosse nascosto in casa, rimasi fuori in appostamento magari uscisse e, dopo un quarto d'ora, uscì una Fiat Ritmo dal passo carraio, la seguimmo e a bordo c'era Mauro Tognoli. Venne identificato e basta, per me la cosa finì lì..."
Gandico è molto più preciso di Del Fato. Del resto, fu proprio lui a stilare la relazione di servizio sull'ispezione di Concesio. In quel rapporto, il maresciallo Gandico scrive di essere giunto alla villa di Tognoli alle 6,30 del mattino e precisa che l'appostamento fuori dalla villa è durato quattordici minuti. Nel documento non vi è alcun accenno a perquisizioni alla ricerca di documenti o altro per il semplice fatto che non ci fu nessuna perquisizione: l'operazione era vòlta soltanto all'individuazione di Oliviero Tognoli e al suo fermo. Ciò conferma il fatto che un'ora sia un lasso di tempo più che congruo per quello che i poliziotti dovevano fare, e permette dunque di far coincidere perfettamente i tempi con la telefonata di Mauro Tognoli. Il fatto che quella mattina non sia stata effettuata alcuna perquisizione, oltre che dal rapporto del maresciallo Gandico, si evince anche dal fatto che in seguito fu inviata nella villa di Concesio un'altra squadra di poliziotti, al comando del funzionario della Squadra Mobile di Palermo Giuseppe Russo, con il preciso incarico di perquisire la casa e trovare dei documenti. Ciò è stato confermato dallo stesso Russo nell'udienza del 5 settembre 1994.
Tornando nello specifico alla famosa telefonata, nell'udienza del 17 giugno 1994 Salvatore Tumino, il collaboratore di Tognoli che, come abbiamo visto, era con lui a Palermo la mattina del 12 aprile 1984, aveva dichiarato:
SALVATORE TUMINO - "Dopo circa una decina di minuti, quindi, l'orario, grosso modo, poteva essere dalle otto alle otto e mezza circa, fu chiamato telefonicamente dalla hall perchè c'era una telefonata. Lui si è portato sùbito nella cabina per ricevere questa telefonata, credo che non sia durata molto, qualche minuto, insomma, tre minuti, poco..."
Macchè Contrada! Il dato certo ed incontrovertibile che emerge dall'escussione dei testimoni è che Oliviero Tognoli si allontanò da Palermo in seguito alla telefonata del fratello Mauro, avvenuta intorno alle 8,30 del mattino di quel 12 aprile 1984, e per nessun altro motivo.
2.2. L'uomo dai capelli lunghi che non era più un poliziotto
C'è un teste importante che introduce un nuovo elemento nella vicenda. Si tratta del giudice Francesco Di Maggio, magistrato che, proprio alla fine degli anni '80, era distaccato presso l'Alto Commissariato Antimafia diretto da Domenico Sica. Nell'udienza del 16 settembre 1994 Di Maggio dichiara quanto segue:
DI MAGGIO - "Dell'affare Tognoli io conosco un episodio avvenuto proprio nell'ufficio dell'Alto Commissariato Antimafia. Eravamo presenti io, il collega Misiani (il giudice Francesco Misiani, altro magistrato all'epoca distaccato presso l'Alto Commissariato Antimafia diretto da Sica, nda), l'Alto Commissario Sica e Giovanni Falcone. (...) Io chiesi espressamente a Falcone se era stato fatto il nome di Contrada. Falcone lo escluse e aggiunse, però, che era stato costruito un identikit nel quale aveva avuto modo di riconoscere perfettamente il dottore Contrada. Disse infatti che il Tognoli gli aveva parlato di un suo conoscente che era stato un poliziotto e che non lo era più. (...) Il riferimento specifico fu al rapporto specifico di amicizia e soprattutto alla perdita della qualità di poliziotto."
Di Maggio parla, dunque, di due fatti nuovi. L'informatore di Oliviero Tognoli, a detta dello stesso imprenditore, sarebbe stato un "suo conoscente" e tale conoscente "era stato un poliziotto e non lo era più". C'è anche una terza indicazione, proveniente dall'ispettore Bruno Sebastiani, che nel 1989 prestava servizio all'Alto Commissariato Antimafia: nell'udienza del 18 ottobre 1994, Sebastiani ricorda che Salvatore Tumino raccontò che quella mattina del 12 aprile 1984 all'hotel Ponte di Palermo, rientrando dopo essere andato a comprare il giornale, trovò Tognoli in compagnia di una persona "con i capelli brizzolati un po' più lunghi del normale ma stempiato, sui 45 anni, ben vestito".
Tre indicazioni, invero, molto vaghe. Che non portano a Bruno Contrada ma ad un altro personaggio che, a questo punto, entra nel processo: Cosimo Di Paola.
Analizziamo partitamente le tre indicazioni:
1.
L'indicazione sulla fisionomia della misteriosa persona che, secondo Tumino, si sarebbe trovata in compagnia di Tognoli quella mattina, potrebbe corrispondere a Bruno Contrada ma anche a mille altre persone. E' vero che Contrada (che all'epoca aveva 53 anni) ne dimostrava certamente di meno, è vero che aveva i capelli brizzolati, a volte li portava un pochino lunghi dietro ed era anche leggermente stempiato, ed è vero anche che si è sempre distinto per eleganza e buon gusto nel vestire. Ma non stiamo parlando di porri in faccia, di bende alla Moshe Dayan, di voglie alla Gorbaciov o di occhialoni alla Elton John. Parliamo di connotati che possono indicare tante altre persone e che non costituiscono un'indicazione univoca e decisiva.
2.
L'indicazione riguardante il fatto che il misterioso conoscente di Tognoli non era più un poliziotto si attaglia sia a Contrada (che nel 1982 aveva lasciato la polizia giudiziaria per transitare nei ruoli del SISDE e ricopriva, nel 1984, il ruolo di capo di gabinetto dell'Alto Commissario Antimafia Emanuele De Francesco) sia a Di Paola, il quale aveva prestato servizio nella polizia palermitana (presso la Sezione Investigativa della Squadra Mobile, sezione diretta all'epoca da Ninni Cassarà, poi presso l'Ufficio di Gabinetto, quindi al II Distretto di Polizia e infine all'Ufficio Misure di Prevenzione) ma in seguito, a partire dall'ottobre 1987, "non sarebbe stato più un poliziotto", transitando nei ruoli della magistratura, e precisamente al TAR. Ricorda lo stesso Di Paola, nell'udienza del 25 ottobre 1994:
DI PAOLA - "Sono un magistrato del TAR di Palermo. Mi ero reso conto che l'ambiente della Questura non mi era confacente, non mi trovavo bene, allora feci prima un concorso per uditore giudiziario e non lo superai, ma mi beccai un esaurimento nervoso. Poi feci un altro concorso al TAR e lo vinsi, il 5 ottobre 1987."
3.
Se le prime due indicazioni potrebbero riferirsi sia a Di Paola che a Contrada, la terza, relativa all'amicizia con Tognoli, esclude categoricamente Contrada e si riferisce a Di Paola.
Nelle udienze del 18 e del 25 ottobre 1994, infatti, dalle dichiarazioni di Antonio Buccoliero e del già citato Bruno Sebastiani (due funzionari di polizia che facevano parte del nucleo speciale al comando di Antonio De Luca presso l'Alto Commissariato Antimafia e che per conto di quell'ufficio, su specifico incarico del giudice Francesco Misiani, svolsero indagini sui fatti in questione nel 1989 insieme al maggiore della Guardia di Finanza Michele Adinolfi), nonchè dello stesso Cosimo Di Paola, emerge quanto segue:
1) Di Paola dichiara di aver avuto vincoli di amicizia molto stretti con Oliviero Tognoli fin dal 1968, quando i due (entrambi nati nel 1951) erano compagni di banco alle scuole superiori, all'Istituto Tecnico Commerciale di Cefalù. Tali rapporti sono durati nel tempo, tanto che Di Paola ha affermato anche di aver presenziato al matrimonio di Tognoli con Marianna Matassa a Riva del Garda e di esserlo andato a trovare nella villa di Concesio. Sempre nell'udienza del 25 ottobre 1994, Di Paola ricorda:
DI PAOLA - "Con Tognoli eravamo amicissimi. Sono stato suo amico fino a quando, su L'Ora di Palermo, non ho letto qualcosa che mi ha fatto scoprire che lui aveva loschi traffici. Ma io avevo conosciuto una persona per bene. Per me fu un trauma scoprire che Tognoli aveva una seconda vita oscura."
2) Di Paola rafforza quanto appena ricordato specificando di avere con Oliviero Tognoli un rapporto di natura quasi familiare, in quanto le rispettive consorti sono fra loro giuridicamente affini. Il fratello della moglie di Tognoli, Francesco Matassa, ha, infatti, sposato la sorella di Franca Serio, moglie di Cosimo Di Paola;
3) Di Paola ammette senza problemi di aver saputo che Oliviero Tognoli intratteneva rapporti di affari con Leonardo Greco di Bagheria e ricorda con precisione di aver più volte consigliato allo stesso imprenditore di usare sempre la massima cautela. Rammenta, infatti, Di Paola nell'udienza sopracitata:
DI PAOLA - "Tognoli a volte mi accennò a questo Leonardo Greco, ma per cose futili. Io ne avevo sentito parlare male, ma Tognoli mi disse che era una brava persona. Io, in realtà, diffidavo di Greco per il cognome, perchè a Palermo di Greco ce ne sono di buoni e di cattivi."
Si trattava, dunque, di un'esortazione generica alla prudenza che non nasceva dalla conoscenza di fatti precisi: Di Paola ha infatti dichiarato di non aver mai sospettato che Tognoli fosse implicato in vicende losche, avendolo sempre conosciuto come "un galantuomo appartenente ad un'ottima famiglia bresciana" ed essendo venuto a sapere del suo coinvolgimento in inchieste giudiziarie soltanto dai giornali, nell'aprile 1984.
Cosimo Di Paola, infatti, non è l'autore della famosa telefonata del 12 aprile 1984: quella, è pacifico, la fa Mauro Tognoli, mentre Di Paola si limita a consigliare ad Oliviero Tognoli di troncare i suoi rapporti con Leonardo Greco perchè è genericamente pericoloso frequentare un mafioso. Questo è, almeno, ciò che ha sostenuto Oliviero Tognoli. Perchè, al contrario, Di Paola, dopo aver ricordato che l'ultima telefonata a Tognoli, prima che questi si desse alla macchia, lui l'aveva fatta intorno al gennaio del 1984, precisa con enfasi davanti ai giudici del processo Contrada (nella già ricordata udienza del 25 ottobre 1994) quanto segue:
DI PAOLA - "Io so delle sciagurate dichiarazioni di Oliviero Tognoli su di me per quanto ho letto su L'Espresso. Ma nessun atto processuale è stato espletato nei miei confronti in materia. (...) Io non dissi mai a Tognoli di troncare i rapporti con Leonardo Greco nè mai gli telefonai per dirgli che c'erano delle indagini contro lo stesso Leonardo Greco che potevano coinvolgere anche lui. Tutte queste cose dichiarate da Oliviero Tognoli sono falsissime."
Sul piano dell'amicizia, invece, è provato che Bruno Contrada non c'entra nulla. Non è stato mai rilevato nessun rapporto fra lui e Oliviero Tognoli, nè di amicizia nè di affari o roba del genere. Contrada e Tognoli non hanno mai frequentato gli stessi ambienti e non hanno mai avuto amicizie in comune. Tutto questo risulta dalle dichiarazioni degli stessi Contrada e Oliviero Tognoli, nonchè da quanto dichiarato da Mauro Tognoli e da Cosimo Di Paola.
DI PAOLA - "Io conobbi Bruno Contrada quando ero alla Squadra Mobile. Per me era un modello, lo stimavo tantissimo. Tutto faceva capo a lui. Io so per certo che Contrada non frequentava Tognoli e non è vero che i due si conobbero all'ISO (Industria Siciliana Ossigeno, nda)."
Contrada non ha mai avuto contatti non solo con Tognoli ma neppure con la famiglia di Tognoli o con suoi amici, collaboratori o, peggio, complici, nè quel famoso 12 aprile 1984, nè prima, nè dopo. Mai. Non è stato accertato nessun interesse d'ufficio o qualsivoglia altro motivo che potrebbe aver spinto Contrada ad aiutare Oliviero Tognoli.
Per quale motivo, dunque, Contrada avrebbe dovuto aiutare l'industriale bresciano? Qualcuno ha pensato che, pur non conoscendo Tognoli di persona, Contrada, aiutandolo, avrebbe inteso favorire esponenti delle cosche per le quali Tognoli lavorava. E invece no. Dal processo non è emerso alcun tipo di rapporto tra Contrada e Leonardo Greco o qualche altro esponente dell'organizzazione mafiosa per conto della quale Tognoli riciclava il denaro sporco.
Il già ricordato ispettore capo Bruno Sebastiani, che, come abbiamo visto, svolse indagini dirette sul caso, scagiona esplicitamente Contrada nell'udienza del 18 ottobre 1994:
SEBASTIANI - "Quando mi fu assegnata la missione e anche in seguito, non sentii mai fare da nessuno il nome di Bruno Contrada, neppure da Salvatore Tumino. Nessuno mi segnalò mai il nome di Contrada."
2.3. Questione di tempi...
Nell'interrogatorio dell'8 maggio 1989 a Lugano nessuno aveva contestato ad Oliviero Tognoli nulla circa la fonte da cui nel 1984 aveva appreso che la Polizia lo cercava per arrestarlo. E la fonte era, come abbiamo visto, suo fratello Mauro.
Perchè ci si deve ostinare a pensare che Oliviero Tognoli sia stato avvertito da Contrada? Oltre alle dichiarazioni dei testimoni riportate prima, anche la logica vuole che ciò sia impossibile. Bastano alcune considerazioni:
1) un'agenda di Bruno Contrada riporta alla pagina dell'11 aprile 1984 l'annotazione: "ore 9,30 De Luca qui". Vi è chi ha voluto ipotizzare che Contrada abbia appreso da Tonino De Luca che Tognoli era in procinto di essere arrestato nel quadro dell'operazione "Pizza Connection". Ma questo è stato negato dallo stesso De Luca e non è mai stato mai provato in nessun modo. Anzi, è stato provato non solo che Contrada non sapeva nulla dei problemi di Tognoli con la giustizia ma era all'oscuro anche della sua fuga da Palermo, come emerge dalla testimonianza resa proprio da Tonino De Luca nell'udienza del 28 ottobre 1994:
DE LUCA - "Contrada mi telefonò e mi disse: 'l'alto commissario De Francesco mi ha fatto un cazziatone perchè non abbiamo saputo della fuga di Tognoli: tu perchè non mi hai detto niente di questa fuga?'. Io mi scusai: non glielo avevo detto perchè non avevo avuto tempo."
2) ma, anche ipotizzando che Contrada avesse saputo la notizia da De Luca o da qualche altra fonte l'11 aprile, non si sarebbe forse dato da fare immediatamente se avesse davvero voluto aiutare Tognoli a scappare? Avrebbe forse atteso la mattina del 12 aprile per telefonargli in albergo, magari per dargli la possibilità di trascorrere una notte serena?
A parte la questione di tempi, come già sottolineato, è lecito supporre che un poliziotto esperto, intelligente e preparato come Bruno Contrada, se proprio avesse dovuto fare la sua "soffiata" a un ricercato, non l'avrebbe certo fatta per telefono, ben sapendo di poter incappare in qualche intercettazione. Sarebbe stato più sicuro, comodo e astuto recarsi personalmente a trovare Tognoli e avvisarlo de visu...
3) il mandato di cattura nei confronti di Oliviero Tognoli fu spiccato soltanto quattro giorni dopo quel fatidico 12 aprile. Si vorrebbero attribuire a Bruno Contrada anche qualità da novello aruspice, che avrebbe divinato dalle viscere di qualche animale l'emissione di quel provvedimento qualche giorno dopo?
2.4. Il sorriso della Gioconda
E torniamo al primo interrogatorio di Tognoli in Svizzera, quello del 3 febbraio 1989. Alla fine del colloquio, Tognoli fa cenno di sì con la testa e sorride al nome di Contrada. E Contrada viene condannato dalla giustizia italiana anche per questo cenno o per questo sorriso. Parafrasando il famoso adagio di padre Pintacuda, mentore gesuita di Leoluca Orlando e della cosiddetta "primavera di Palermo", ossia "il sospetto è l'anticamera della verità", il miglior abbrivio per una vera e propria caccia alle streghe (ma, si sa, gesuiti e domenicani erano il braccio operativo del Sant'Uffizio...), potremmo dire qui che "il sorriso è l'anticamera della verità". Un'anticamera che, in questo caso, è stata fatta diventare un vero e proprio salone di rappresentanza con tanto di lampadari pregiati e specchi con cornici di oro zecchino.
Esiste nel codice penale un reato ricollegabile ad un cenno a ad un sorriso? Cosa può significare un moto del corpo come un cenno o un semplice sorriso? Tutto e niente. Falcone, è vero, ebbe a dire agli interlocutori cui riferì del sorriso (il colonnello dei Carabinieri Mario Mori, il giudice Francesco Di Maggio, l'Alto Commissario Antimafia Domenico Sica, il giudice Francesco Misiani, come vedremo in seguito) che per un siciliano un sorriso può valere più di un intero discorso, ma sul punto dobbiamo chiederci due cose:
1) il giudice Giovanni Falcone era uomo da lasciarsi irretire da un semplice sorriso? Circa quattro anni prima aveva avuto l'occasione di incastrare Contrada dopo le prime dichiarazioni di Tommaso Buscetta, poi non suffragate da alcun riscontro: il caso si era chiuso col proscioglimento di Contrada in istruttoria, giusta la sentenza-ordinanza del 7 marzo 1985 a firma del consigliere istruttore Antonino Caponnetto (ne parliamo in altra parte di questo libro). E adesso? Non erano bastate le dichiarazioni di Buscetta e sarebbe bastato un sorriso?
2) è vero che nella mimica sicula, e annesso double talkin', un sorriso può assumere una valenza particolare. Ma in senso ambivalente. E' plausibile pensare che, sorridendo, Tognoli possa aver dato una sorta di conferma (ma non ha mai voluto che questa "conferma" fosse messa a verbale). Ma è plausibile anche pensare il contrario, e cioè che quel sorriso possa significare qualcosa del tipo "ma cosa sta dicendo?" et similia.
Ipotesi. E, purtroppo, il giudice Falcone non è qui per poter confermare o smentire nulla. Ma i giudici di Palermo hanno dato credito alla valenza potenzialmente accusatoria di quel sorriso.
Inoltre, risultando appurato che non fu Tognoli a pronunciare il nome di Bruno Contrada nè ad accennare minimamente a lui, ma fu Falcone a farlo (come vedremo fra breve), bisogna chiedersi perchè Falcone pensò proprio a Contrada. Vedremo fra breve che questo input potrebbe essere giunto a Falcone, in maniera vaga e con indicazioni assolutamente generiche, dal commissario svizzero Clemente Gioia e potrebbe, forse, aver avuto l'effetto di solleticare il sospetto di Falcone, già sollevato dalle dichiarazioni poi invalidate che, come abbiamo visto, Buscetta aveva rilasciato su Contrada nel 1984. Forse per questo motivo Falcone pensa a Contrada, ma, in definitiva, quando fa a Tognoli il nome dello stesso Contrada può farlo in un duplice senso:
1) il primo significato, quello avallato dall'accusa, è, grosso modo: "è stato davvero Contrada a farti fuggire? A me puoi dirlo...". Oppure:
2) "non mi dire che vuoi tirare anche tu in ballo Bruno Contrada", secondo significato che si ricollegherebbe al fatto che, in quel convulso 1989, il nome di Contrada era già da qualche tempo "chiacchierato" per via della assurda inchiesta giornalistica che nel 1985 era stata pubblicata sulla rivista I Siciliani circa un presunto ostacolo frapposto da Contrada ad un'operazione vòlta alla cattura di Tano Badalamenti in Spagna (è stato provato l'esatto contrario: ne parliamo nel capitolo dedicato alla vicenda) e per colpa dell'articolo del giornalista Roberto Chiodi su L'Espresso.
Qualunque sia il significato che un giudice voglia sposare, non siamo in ogni caso in quella collocazione "al di là" di quel "ragionevole dubbio" che consente di emettere un verdetto di condanna. Per almeno tre motivi:
1.
perchè Tognoli rifiuta di far mettere a verbale quella sorta di strana ammissione che, secondo l'accusa, avrebbe fatto ai danni di Contrada;
2.
perchè è risultato dagli interrogatori dei testimoni che Tognoli non fece mai sua sponte il nome di Contrada. Fu Giovanni Falcone a farlo. Lo sostiene, come abbiamo visto, il giudice Carla Del Ponte, ma lo hanno dichiarato anche il commissario della Polizia Svizzera Clemente Gioia e l'ex-magistrato Giuseppe Ayala.
Gioia non soltanto dichiara di non aver mai sentito Tognoli fare il nome di Bruno Contrada ma, addirittura, conferma di essere stato lui in persona, e proprio il 3 febbraio 1989, a riferire a Falcone un fatto importante che potrebbe aver mosso il giudice a fare lui a Tognoli il nome dello stesso Contrada. Nell'udienza del 28 giugno 1994, infatti, Gioia, che è stato il primo poliziotto ad avere a che fare con Tognoli dopo la sua costituzione a Lugano il 12 ottobre 1988, ha ricordato di aver chiesto allo stesso Tognoli come fosse riuscito a fuggire, ricevendo la seguente risposta:
CLEMENTE GIOIA - "Tognoli mi rispose: 'Fui informato da un suo pari grado'. Fu informato che a giorni sarebbe stato emesso nei suoi confronti un mandato di cattura e quindi doveva scappare."
Il 3 febbraio 1989 Gioia riferisce a Falcone questa risposta di Tognoli e, probabilmente, è questo fatto che induce il magistrato a fare allo stesso Tognoli il nome di Contrada. Ma rimane sempre il dubbio che Falcone abbia voluto parlare di Contrada in maniera esplicitamente accusatoria oppure nel senso che abbiamo definito ironico e paradossale. Inoltre c'è da ricordare che, in quel momento, Contrada è tutto tranne che un "pari grado" di Gioia: mentre quest'ultimo, infatti, è un commissario, Contrada all'epoca era già questore. Gioia prosegue:
AVVOCATO MILIO - "Lei ha sentito mai Tognoli fare il nome del dottore Contrada?"
GIOIA - "Mai."
AVVOCATO MILIO - "A lei l'ha detto mai?"
GIOIA - "A me personalmente mai"
AVVOCATO MILIO - "Quindi il nome del dottor Contrada lei l'ha appreso per la prima volta dal dottor Falcone?"
GIOIA - "Giusto."
Nell'udienza dell'1 luglio 1994 tocca a Giuseppe Ayala, il quale, a proposito dell'interrogatorio condotto dal giudice Carla Del Ponte la mattina del 3 febbraio 1989 (cui lui assistette insieme a Giovanni Falcone), dice:
INGROIA - "E quindi non fece domande, invece, il dottore Falcone relativamente alla latitanza di Tognoli?"
AYALA - "No, durante quell'interrogatorio sicuramente no. Alla fine dell'interrogatorio più che una domanda fu quasi una battuta sul fatto 'dopo tanti anni ci vediamo, la sua latitanza...'. E Falcone disse a Tognoli, più o meno, ma il concetto era questo: 'Certo lei non vorrà far credere che è stata casuale la sua latitanza?'. E la cosa, per, come dire, per certi versi strana fu che Tognoli, anzichè rispondere come in questi casi è lecito aspettarsi, cioè in maniera reticente, con un gesto molto chiuso, accompagnato da un sorriso, disse: 'E' chiaro che non è stato casuale'. Questo avvenne ad interrogatorio finito."
INGROIA - "E lei ricorda se si tornò ad affrontare nel pomeriggio (l'interrogatorio del pomeriggio del 3 febbraio 1989 in sede di rogatoria internazionale, nda) quello che nella mattina era stata solo una battuta del dottor Falcone? Cioè, il dottor Falcone rivolse domande in ordine alla latitanza del Tognoli?"
AYALA - "Sì, fu fatta una domanda e fu verbalizzata. La domanda era attinente alla... come mai, a chi lo avesse informato in modo tale da consentirgli di sottrarsi all'esecuzione di un provvedimento restrittivo della libertà personale... e ricordo che Tognoli fu estremamente... chiese tempo, insomma, disse 'mi riservo', non negò il fatto, non disse alcuna notizia specifica e disse che si riservava, insomma, doveva rifletterci..."
Ayala prosegue nei suoi ricordi:
AYALA - "Sì, la sera siamo andati a cena assieme tutti e tre (Ayala, Falcone e la Del Ponte, nda). Quando sono arrivato, i due (Falcone e la Del Ponte, nda) già avevano iniziato a parlare su quello che era stata l'ammissione di Tognoli nel colloquio e cioè che ad avvertirlo sarebbe stato l'imputato, il dottore Contrada. (...) E Tognoli avrebbe risposto affermativamente alla domanda, cioè non fu Tognoli a dire, almeno che io ricordi, 'è stato ad avvertirmi il dottore Contrada', gli fu chiesto da Falcone se per caso non fosse stato Contrada ad avvertirlo e Tognoli avrebbe risposto affermativamente..."
Non fu mai Tognoli, dunque, ma fu Falcone, di sua iniziativa o, probabilmente, dopo l'imbeccata del commissario Gioia, a proferire il nome di Bruno Contrada. E, dato che, purtroppo, Falcone non può più confermare il motivo che lo indusse a farlo, possiamo pensare che lo fece in uno dei due sensi sopra ricordati. In senso accusatorio o in senso ironico e paradossale. Noi non abbiamo elementi certi per propendere per uno dei due significati. I giudici della V Sezione Penale del Tribunale di Palermo neppure, ma hanno propeso per il significato accusatorio, smentito peraltro dalle ammissioni dei fratelli Tognoli sul fatto che l'autore della telefonata fu Mauro Tognoli, e dalle ammissioni di Cosimo Di Paola sul fatto che fu lui stesso a consigliare a Oliviero Tognoli di tenersi alla larga da mafiosi di vario genere.
Il dato di fatto obiettivo, sul quale dovrebbe basarsi un verdetto, è che Tognoli non fece mai il nome di Bruno Contrada esplicitamente e che rifiutò di far mettere a verbale quella strana ammissione che fece a Falcone. Sulle ragioni che spinsero Falcone a fare il nome di Contrada non ci è dato sapere altro: possiamo limitarci alle due ipotesi avanzate prima. Ma i giudici palermitani hanno dilatato l'ipotesi accusatoria fino al rango di tesi assoluta;
3.
c'è da considerare, infine, ricollegandoci a quanto appena detto, che tipo di sospetti Falcone potesse nutrire nei confronti di Contrada. Anche qui l'unico dato certo parla in favore dello stesso ex-capo della Squadra Mobile e della Criminalpol di Palermo. Infatti il generale dei Carabinieri Mario Mori, già comandante del ROS, interrogato dai sostituti procuratori della Repubblica di Palermo Guido Lo Forte e Antonio Ingroia, conferma a sua volta che Falcone non aveva mai sospettato di Contrada. Sia detto per inciso, per questa dichiarazione Mori verrà indagato per falsa testimonianza, ma il fascicolo verrà presto archiviato.
Nell'udienza del 25 ottobre 1994 il generale Mori, all'epoca colonnello, dichiara:
AVVOCATO MILIO - "Lei ha avuto occasione di parlare del dottore Contrada in ordine ad una presunta fuga, ad opera dello stesso, di tale Tognoli Oliviero, con il dottor Falcone?"
MORI - "Sì. Falcone disse che, sospettando in qualche modo del dottor Contrada, al termine dell'interrogatorio del Tognoli, quindi, diciamo, a carte chiuse, a verbale chiuso, avrebbe chiesto quasi come una sfida, quasi come una scommessa al Tognoli. Dice: 'Ma se io dico un nome su chi secondo me è stato colui che l'ha avvertita, lei me lo dice?'. Tognoli lo guardò senza espressione e lui gli fece il nome del dottor Contrada. Mi disse lui, Falcone: 'Tognoli non disse nè sì nè no, mi sorrise...'. Adesso non me lo ricordo, siccome questo racconto me lo ha fatto più di una volta, una volta da solo, sicuramente, e un'altra volta con il dottor Sica, comunque, o al singolare o al plurale, disse: 'Voi che siete settentrionali, che siete polentoni, queste cose non le capite, ma per noi siciliani questo sorriso era più che un discorso...'."
AVVOCATO MILIO - "E quindi non le riferì che il Tognoli avesse, al di là e oltre il sorriso, il sorrisetto, pronunciato il nome Contrada..."
MORI - "Assolutamente, assolutamente."
AVVOCATO MILIO - "Il dottor Falcone disse che Tognoli aveva pronunciato il nome di Contrada come persona che l'aveva informato o no?"
MORI - "No. Parlò di sorriso ma non fece nome... Falcone mi disse che Tognoli non fece mai esplicitamente il nome di Bruno Contrada."
PRESIDENTE INGARGIOLA - "Nel secondo incontro con Falcone, e stavolta con Sica, Falcone riferì l'episodio negli identici termini con cui l'aveva riferito la prima volta? Le sto parlando del sorriso..."
MORI - "Sì. Parlando del sorriso, esattamente."
La versione del semplice sorriso anzichè di un esplicito "sì" e del cenno affermativo del capo (come sostiene, invece, la giudice Del Ponte) è avallata anche dal già citato giudice Francesco Di Maggio, che, nell'udienza del 16 settembre 1994, dichiara:
DI MAGGIO - "Dell'affare Tognoli io conosco un episodio avvenuto proprio nell'ufficio dell'Alto Commissariato Antimafia. Eravamo presenti io, il collega Misiani (il giudice Francesco Misiani, nda), l'Alto Commissario Sica e Giovanni Falcone. Falcone era reduce da un interrogatorio di Oliviero Tognoli a Lugano, e aveva riferito in quella circostanza di essere pressocchè certo che la persona indicata nel caso dell'interrogatorio di Tognoli come la talpa, cioè quella che aveva riferito del provvedimento restrittivo della libertà personale emesso nei suoi confronti così consentendogli di fuggire, dovesse identificarsi in Contrada. Ci fu un discorso abbastanza serrato, io chiesi espressamente a Falcone se era stato fatto il nome di Contrada. Falcone lo escluse e aggiunse, però, che era stato costruito un identikit nel quale aveva avuto modo di riconoscere perfettamente il dottore Contrada. Disse infatti che il Tognoli gli aveva parlato di un suo conoscente che era stato un poliziotto e che non lo era più. Io chiesi poi a Falcone se avesse pòsto specificatamente la domanda: 'ma si tratta di Contrada?' e Falcone rispose: 'certo che ho pòsto la domanda'. Chiesi, poi, se il Tognoli avesse risposto che si trattava di Contrada e Falcone disse: 'No, mi ha risposto con un sorriso'. E io mi sono permesso di chiedere a Falcone: 'Ma come hai interpretato questo sorriso?'. E lui mi disse: 'Mi stupisco che proprio tu che sei siciliano come me mi ponga questa domanda'."
PRESIDENTE INGARGIOLA - "Quando lei chiese a Falcone se aveva chiesto espressamente a Tognoli se era stato Contrada ad avvisarlo, Falcone si limitò a fare, a dire: 'C'è stato un sorriso?'."
DI MAGGIO - "Falcone mi disse: 'Certo che gliel'ho chiesto, e mi ha risposto con un sorriso'. Ed io aggiunsi: 'Ma come era da interpretare, insomma, questo sorriso, come lo hai interpretato?'. E lui mi rispose: 'Mi stupisci tu che sei siciliano come mi abbia fatto la domanda'. Come dire, era sicuramente un sorriso di assenso."
PRESIDENTE INGARGIOLA - "Non aveva risposto 'sì'?"
DI MAGGIO - "No, non ci sarebbe stata ragione, non ha aggiunto che il sorriso fu accompagnato da un 'sì'."
PRESIDENTE INGARGIOLA - "Siccome a noi risulta da altre fonti che avrebbe detto 'sì'..."
DI MAGGIO - "Presidente, ho l'obbligo di dirle la verità!"
Anche la testimonianza resa nell'udienza del 14 settembre 1994 dal giudice Francesco Misiani (altro collaboratore, come Di Maggio, dell'Alto Commissario Antimafia Domenico Sica) risulta piuttosto categorica nel riaffermare che Tognoli non pronunciò il famoso "sì" ma si limitò a dei cenni. E anche Misiani riferisce di aver saputo ciò dallo stesso Giovanni Falcone:
MISIANI - "Il senso del discorso era quello che ho fatto prima e lo ripeto adesso. Cioè che Falcone mi aveva riferito che Tognoli gli aveva fatto in qualche modo, quale fosse il modo, il sorriso, l'accenno, la strizzatina d'occhio non glielo so dire, gli aveva fatto capire in qualche modo che era Contrada la persona che aveva avvisato lo stesso Tognoli."
E il terzo interlocutore di Falcone sulla vicenda, ossia l'allora Alto Commissario Antimafia Domenico Sica, dichiara, anch'egli nell'udienza del 14 settembre 1994:
AVVOCATO SBACCHI - "Lei ricorda se col dottore Falcone o con altri magistrati o con altri funzionari o con chiunque ebbe a parlare o altre persone ebbero a parlare con lei del dottore Contrada e riferirle di collegamenti, di sospetti, di collusioni del dottore Contrada con ambienti criminali e mafiosi in particolare?"
SICA - "No, onestamente no. Proprio non lo ricordo, ma sarei portato ad escluderlo. Ma non me lo ricordo assolutamente. Non era un fatto a me noto."
AVVOCATO SBACCHI - "Se, a proposito dell'episodio Tognoli, il dottore Falcone si espresse con sospetti, convinzioni, opinioni, ipotesi o certezze..."
SICA - "No. (...)"
Nell'udienza del 17 gennaio 1995 il prefetto Luigi De Sena dichiara, a proposito delle calunnie che L'Espresso aveva rivolto a Contrada nell'estate del 1989 (e di cui parleremo nel prossimo paragrafo):
DE SENA - "L'Espresso calunniò Contrada e il direttore del SISDE Riccardo Malpica mi incaricò di parlare con Falcone per appurare la cosa (Contrada, all'epoca, era già al SISDE, nda). A Roma Falcone mi disse che non c'era alcun sospetto fondato su Contrada e si poteva trattare anche di un'altra persona. Certo, ci fu una battuta d'arresto per quanto riguarda la promozione di Contrada, ma poi fu superata appena si chiarì che non c'era nulla a suo carico: il direttore del SISDE Malpica ed il prefetto Parisi, Capo della Polizia, appoggiarono senza remore la promozione di Contrada a dirigente generale della Polizia di Stato."
Queste cose De Sena le afferma in risposta ad una domanda della difesa. Sentite cosa risponde al pubblico ministero Ingroia nel controinterrogatorio:
DE SENA - "Falcone mi esortò a fare un comunicato stampa in difesa di Contrada, promettendomi che lo avrebbe sostenuto a sua volta con un suo personale comunicato stampa."
Cade, dunque, in base a questa testimonianza (e alla "convergenza del molteplice" con quelle rese dai giudici Sica e Di Maggio e dal colonnello Mori) l'idea che Falcone avesse un motivo reale per sospettare di Bruno Contrada.
Sinisi
2.5. Roba da Chiodi e da... Acciari
Il sole dell'estate 1989 distende i suoi caldi e pigri raggi su un'ondata di attacchi giornalistici condotti dal settimanale L'Espresso nei confronti di Bruno Contrada. Attacchi che proseguono sulla scia di quello sferrato all'ex-capo della Squadra Mobile e della Criminalpol di Palermo già quattro anni prima da I Siciliani.
Si comincia con l'articolo di Sandro Acciari che L'Espresso pubblica il 23 luglio 1989 e che reca come titolo "Il Corvo, la Talpa, il Falcone": ne parliamo nel capitolo dedicato alle "Accuse a Contrada e D'Antone".
Il numero 32 del medesimo settimanale, uscito il 13 agosto 1989, contiene invece un articolo, intitolato "Segreti di Servizi", in cui Roberto Chiodi scrive: "Tognoli, benchè ricercato con un mandato di cattura internazionale, riuscì a restare latitante per oltre quattro anni. E questo grazie alla protezione che, in un paio di occasioni, gli venne accordata. La prima volta quando una opportuna 'soffiata' gli consentì di evitare la cattura. La seconda quando un funzionario del SISDE lo fece espatriare. Tognoli ne ha fatto il nome ai giudici ticinesi: si tratta di Bruno Contrada."
Ora, noi abbiamo visto con dovizia di particolari che Tognoli non ha "fatto il nome" di nessuno se non del fratello Mauro come autore della famosa telefonata del 12 aprile 1984, e non ha mai fatto il nome di Bruno Contrada.
Sul perchè Chiodi abbia scritto quello che ha scritto, rimandiamo il lettore alle parole usate dagli avvocati Milio e Sbacchi per descrivere il comportamento di parte della stampa in quel frenetico e drammatico scorcio del 1989 (parole che riportiamo ancora nel capitolo dedicato alle Accuse a Contrada e D'Antone).
Per il resto, giova ricordare la testimonianza di Antonio De Luca, all'epoca dell'articolo di Chiodi in servizio all'Alto Commissariato Antimafia, il quale, nell'udienza del 28 ottobre 1994, ha ricordato:
DE LUCA - "Dopo l'attacco della stampa a Contrada, nel 1989, l'Alto Commissario Antimafia Domenico Sica mi chiese notizie su Contrada. Io difesi Contrada dicendo che era un funzionario adamantino e che quelle della stampa erano soltanto fandonie."
v. testimonianza di Chiodi
3. SFIDA AL LETTORE
La sfida questa volta non la pone soltanto il vostro umile cronista. La pone anche il presidente della Camera dei Ricorsi Penali della Corte d'Appello di Palermo, il quale, in data 31 marzo 1993, scrive:
"A questa Camera dei Ricorsi Penali pare comunque inverosimile che tale o talaltro magistrato che ha controfirmato i verbali resi da Tognoli deponga, poi, attribuendo allo stesso Tognoli dichiarazioni diametralmente opposte a quelle verbalizzate. Se così non fosse, la verbalizzazione diverrebbe inutile, bastando il ricordo dell'interrogante nel dire dell'interrogato, ciò che palesemente sarebbe meno affidabile del verbale scritto, controfirmato da entrambi."
E va ricordato che il giudice Lehmann, presente all'interrogatorio reso da Oliviero Tognoli l'8 maggio 1989, ha confermato il contenuto del verbale da lui stesso controfirmato. E in quel verbale, come abbiamo visto, non c'è traccia di Bruno Contrada.
Come possa, poi, la V Sezione Penale del Tribunale di Palermo aver accolto le tesi dell'accusa e aver dato credito all'ipotesi che a far fuggire Tognoli sarebbe stato lo stesso Contrada, questo lo chiediamo al lettore. Noi non abbiamo la risposta.
Comunque la si voglia mettere, da qualunque punto di vista si scelga di osservare l'intera vicenda, rimane il fatto che Oliviero Tognoli non ha mai fatto espressamente il nome di Bruno Contrada come suo informatore.
Nel primo interrogatorio, quello del dicembre 1988, Tognoli non parla minimamente di Bruno Contrada. Un paio di mesi dopo, alla fine dell'interrogatorio reso al giudice Del Ponte, Tognoli lascia capire che è stato Contrada ad avvertirlo del fermo di polizia ai suoi danni nella villa di Concesio, o comunque del fatto che la polizia palermitana e quella bresciana sono sulle sue tracce. Intanto c'è da ribadire ciò che abbiamo specificato più volte, e cioè che Oliviero Tognoli non ha mai fatto il nome di Bruno Contrada di sua iniziativa. In base alle testimonianze, l'iter fu il seguente: il commissario Gioia, a precisa domanda, si sente rispondere da Tognoli che l'informazione del 12 aprile 1984 era stata fornita da un "suo pari grado" (suo, ovviamente, del commissario) e lo riferisce a Falcone. Falcone fa il nome di Contrada a Tognoli e questi, secondo l'accusa, gli lascia intendere che quel nome è azzeccato. Ma in che maniera, e solo su domanda di Falcone, Tognoli lascia capire allo stesso Falcone che quel "pari grado" del commissario Gioia sarebbe Contrada?
1) Secondo la giudice Del Ponte dicendo sì e facendo un cenno affermativo col capo. Ma, come emerso dalle dichiarazioni della stessa Del Ponte, nel momento del fantomatico cenno ella stava controllando il verbale e dunque non poteva guardare in faccia Tognoli; Ayala, invece, che guardò in faccia Tognoli, ha riferito soltanto di un sorriso.
2) anche il generale Mori racconta che Falcone gli riferì per ben due volte (la prima volta solo a lui, la seconda a lui e al giudice Sica), che al nome di Bruno Contrada Tognoli si limitò ad un sorriso. Ed altrettanto fa il giudice Francesco Di Maggio, che ricorda che Falcone gli raccontò, al proposito, soltanto di un mero sorriso da parte di Tognoli.
Un sorriso. Un semplice sorriso. Che, come abbiamo detto, può significare tutto ed il contrario di tutto. E che non fu, infatti, sufficiente motivo per nessun magistrato, italiano o elvetico, al fine di iniziare una qualsivoglia azione penale nei confronti di Bruno Contrada: la cosa non ebbe alcun seguito, e ciò significa che non fu presa in considerazione. Checchè se ne voglia far credere riesumandola nella grottesca sede del processo Contrada.
Resta il fatto che, parole, cenni o sorrisi, in seguito Tognoli non vorrà mai far mettere a verbale questa sua "dichiarazione". Siamo, come abbiamo precisato, al 3 febbraio 1989. Quanto possano essere ambivalenti e di multiforme significato un cenno o un sorriso, lo abbiamo detto nel paragrafo precedente. Quanto sia strano che Tognoli non abbia mai voluto far mettere a verbale questa sua sorta di "ammissione" che incolperebbe Contrada, ce lo chiediamo adesso. E ci chiediamo anche se questa sua contrarietà a rendere ufficiale la sua "accusa" a Contrada non sia dipesa non tanto dalla paura per l'incolumità sua o della sua famiglia ma dal fatto che, in realtà, Tognoli non voleva far mettere a verbale una dichiarazione falsa perchè sapeva benissimo che Contrada non c'entrava niente. Come poi lo stesso imprenditore bresciano confermerà.
Poco più di tre mesi dopo, infatti, l'8 maggio 1989, Tognoli, pur ammettendo di conoscerlo, non parla affatto di Contrada come suo "informatore", chiamando, invece, in causa in questo ruolo il fratello Mauro e Cosimo Di Paola. E questa volta fa mettere a verbale la dichiarazione (sostantivo per il quale, in questo caso, non usiamo virgolette). Forse perchè questa volta sta dicendo la verità.
Ad un giudice dovrebbe bastare un dato formale come la verbalizzazione di una dichiarazione, che, rebus sic stantibus, scagiona di fatto Bruno Contrada. In ogni caso, se proprio si vuol pensare ad un mendacio da parte di Tognoli, per quale motivo l'imprenditore avrebbe dovuto mentire quando chiamava in causa il fratello e l'amico e invece avrebbe dovuto dire la verità quando tirava in ballo Contrada? Non ci sono prove che accusino quest'ultimo, anzi, al contrario, ci sono le concordanti dichiarazioni di Mauro Tognoli e di Cosimo Di Paola (chiamiamola pure "convergenza del molteplice", anche se Tognoli e Di Paola non si sono mai macchiati di delitti), i quali hanno ammesso il primo di aver fatto lui la telefonata che la mattina del 12 aprile 1984 ha messo in preallarme l'imprenditore, ed il secondo di aver effettivamente consigliato all'imprenditore medesimo di non intrattenere più rapporti ambigui e pericolosi con esponenti delle cosche.
Sul perchè Giovanni Falcone fece il nome di Contrada a Tognoli abbiamo cercato di dare una risposta nel paragrafo precedente. E quanto abbiamo detto viene confortato dal fatto che è venuto fuori con evidenza che Falcone non aveva motivo di sospettare di Contrada, come confermato dal generale dei Carabinieri Mario Mori e dal prefetto Luigi De Sena, il quale ricorda addirittura che Falcone lo esortò (e il verbo è importante...) a fare un comunicato stampa in difesa di Bruno Contrada promettendogli che lo avrebbe sostenuto a sua volta con un comunicato stampa di proprio pugno.
Si può ritenere che Falcone avesse motivo di sospettare di Contrada? Perchè, dopo quelle vicende svizzere, Falcone, se era davvero convinto del ruolo svolto da Contrada, non proseguì il suo lavoro in tal senso? Qualcuno può affermare che dalle indagini svolte e dalle escussioni dei testimoni siano risultati altri dati incontrovertibili oltre l'unica certezza rappresentata dal fatto che quella fatidica telefonata la fece Mauro Tognoli?
Domande. Alle quali i giudici palermitani hanno ritenuto di dare una risposta che ha contribuito a serrare il lucchetto della cella alle spalle di Bruno Contrada.
Ma ci congediamo da questa vicenda con un'altra domanda, cercando di dare ad essa una risposta a nostra volta.
Il sorriso di Tognoli inchioda Contrada? Beh, meglio Tognoli dei "pentiti", comunque. Almeno Tognoli sorrideva.
10 comments:
la conclusione è arguta..come tutto il testo...le sue domande sono lecite, ma forse c'è solo un dubbio che lei non ha sollevato, forse perchè lei crede nella giustizia e in chi la amministra molto più di me.. ma dando ciò per appurato, si domandi se non si è mai chiesto se Falcone non aveva indizi per sospettare, ma semplicemente VOLEVA consapevolmente sospettare di Contrada??? perchè era conveniente per sè, per il suo ruolo sempre più importante, per il suo crescente potere??
E allora quando pensiamo a Falcone che fa a Tognoli il nome di Contrada forse ci è concesso ipotizzare anche un'altra opzione oltre alle due possibilità di cui ha scritto lei...
3)"lo so che è stato Contrada a farti fuggire, dai dillo! se lo dici magari...nel tuo processo in Italia...."
La domanda ora è: pur non volendo incolpare un innocente della sua fuga (perchè Contrada è palese non c'entra niente con Tognoli, solo a Palermo in tribunale non se ne sono accorti, chissà perchè?) con davanti uno come Falcone che "potrebbe averle intimato di fare un nome"...lei non avrebbe sorriso?
2 cose.
1)La correggo sul punto che Falcone non avesse motivi per sospettare Contrada.
Perchè, allora, voleva con insistenza, come testimoniato da alcuni, mettere a verbale che Tognoli aveva indicato Contrada?
2)De Sena dice che Falcone lo esortava a difendere Contrada, promettendo anche un suo comunicato stampa in favore.
Ma a dirlo è solo De Sena. E poi, questo comunicato c'è stato o no? Perchè, se Falcone non lo ha fatto questo comunicato, le parole di De Sena non hanno riscontro.
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu
Per Roby
Ok la difficoltà a ricostruire esattamente il significato di un sorriso e che ciò permette di produrre anche le ipotesi più fantasiose, ma che Giovanni Falcone facesse giochetti da magistratuccio di provincia questa è pura fantscienza, le imprese sue e di Borsellino in campo investigativo derivano proprio dall'incapacità di queste due persone a scendere a compromessi e dalla fermezza con cui hanno sempre cercato di ribadire la forza delle regole dello Stato di diritto rispetto all'illegalita del modus operandi mafioso.
Il vero motivo per cui Falcone fece quella domanda rimarrà ahimè sepolto sul tratto dell'autostrada Palermo - Trapani, questa è la verità, il resto può valere come opinione personale, non valida di per se a condannare un uomo.
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partiamo da due piani troppo diversi:
lei non crede ai giochetti da magistratuccio e ai compromessi...io si e le assicuro anche uno come falcone, per arrivare dove è arrivato deve averli usati...................
Credo che accetterà il fatto che la giudice Del Ponte potrà non aver visto il sorriso perchè orientata visivamente verso il verbale in quel preciso momento (era così precisa la sua testimonianza?)...ma che un "si" può averlo di certo sentito, anche senza prestare diretta attenzione.
Sarebbe strano concentrarsi tanto sulla presenza o sul significato di un sorriso e tralasciare il fatto che un "si" possa essere stato effettivamente sentito.
Potrei scrivere un libro ma mi limito a poche parole. Giovanni Falcone ha pagato con la propria vita la lotta ala criminalità organizzata, consapevole del suo destino, ed in nome della legge, IN ONORE DELLE ISTITUZIONI, le stesse che l’hanno prima provato a smentire, poi contrastato, abbandonato (per non dire “CONSEGNATO”).
Contrada, quel farabutto, PALESEMENTE MAFIOSO, è ancora vivo.
Provo ribrezzo, vergogna, pena e pietà per le insinuazioni fatte nei suoi confronti in questa pagina (e mi riferisco ad alcuni commenti, non di certo all’interessantissimo articolo”).
“Giovanni ti chiedo UMILMENTE scusa e perdono e MI PRENDO LA RESPONSABILITÀ DI FARLO a nome degli italiani (e stranieri) onesti: ancora oggi noi non abbiamo il coraggio, le virtù e le nobilissime doti e arti morali, etiche e civili, che ti hanno distinto.
Valori per i quali tu stesso (e pochi altri) hai vissuto, nelle quali hai creduto e per le quali (PARADOSSALMENTE) hai ingiustamente pagato.
Forse è stato un sacrificio inutile, forse no, di fatto io se penso a te oggi, come ieri o domani, sorrido, mi rassereno e, seppur poco, questo è quando sento, leggo, penso a te, magnifico UOMO
Stefano Russo - Milano - 21.09.20 (oggi faccio 35 anni, grazie di cuore)
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