1. L'ACCUSA
Aprile 1980. Giuseppe Impallomeni è dall'1 febbraio il nuovo capo della Squadra Mobile di Palermo dopo che, a partire dal luglio 1979, in seguito all'omicidio di Boris Giuliano, il capo della Criminalpol Bruno Contrada era stato chiamato dal questore Giovanni Epifanio a reggere ad interim anche la Squadra Mobile al posto dello stesso Giuliano. La nomina di Contrada era stata invocata a gran voce dai massimi dirigenti della Polizia e dallo stesso ministero degli Interni, nonchè da tutto il personale della Squadra Mobile, nella consapevolezza che solo un personaggio come Contrada, storico "gemello" di Boris Giuliano, avesse le capacità, l'esperienza ed il prestigio necessari a tenere unito l'ufficio dopo la brutale soppressione del precedente capo.
L'atmosfera è rovente. L'ufficio è quasi allo sbando. Lo stesso Contrada, profondamente colpito dalla tragedia sul piano personale, dedica tutte le sue energie alle indagini sull'omicidio di Giuliano: indagini che sfoceranno nel famoso rapporto del 7 febbraio 1981, firmato da Contrada, che inchioderà i responsabili del delitto e sulla base del quale il giudice istruttore Paolo Borsellino emetterà, il 27 giugno dello stesso anno, 15 mandati di cattura per altrettanti pericolosissimi esponenti della fazione mafiosa ascendente dei "corleonesi". In quel convulso aprile del 1980, infatti, le gerarchie stesse di Cosa Nostra stanno mutando: si va verso la guerra aperta fra i vecchi boss come Stefano Bontade e Gaetano Badalamenti e gli uomini di Totò Riina il quale, dopo il periodo del "triumvirato" con gli stessi Bontade e Badalamenti, vuole assumere un potere solitario ed incontrastato. Questo quadro verrà esaurientemente individuato e spiegato dallo stesso Contrada nel succitato rapporto del 7 febbraio 1981. Contestualmente, in qualità di capo della Squadra Mobile ad interim fino all'1 febbraio 1980, Contrada si era trovato ad indagare anche sull'omicidio del giudice Cesare Terranova, assassinato a Palermo il 25 settembre 1979 insieme al suo autista Lenin Mancuso.
Ma torniamo all'aprile 1980. Come già detto, dall'1 febbraio Impallomeni è il nuovo capo della Squadra Mobile e Contrada ritorna al suo incarico di capo della Criminalpol della Sicilia Occidentale. Impallomeni e il questore Vincenzo Immordino decidono di riorganizzare la Squadra Mobile a propria immagine e somiglianza, secondo un modo di agire che entrambi avevano già messo in atto quando erano alla Questura di Reggio Calabria: la cosa suscita i malumori dei vecchi funzionari, che si stringono intorno a Contrada, simbolo storico, insieme a Giuliano, di una stagione a detta di tutti irripetibile. Tre funzionari "storici" della Mobile palermitana, Antonio De Luca, Vittorio Vasquez (vicecapo della Squadra Mobile) e Guglielmo Incalza, chiedono addirittura il trasferimento. E' il caos (ne parliamo nel capitolo intitolato Il contrasto tra Contrada e il questore Immordino e il blitz del 5 maggio 1980).
In quella atmosfera burrascosa, si intensificano le operazioni di polizia contro gli esponenti di vertice di Cosa Nostra. Il questore Immordino e il capo della Squadra Mobile Impallomeni hanno soppresso di fatto la Sezione Antimafia e la Sezione Catturandi della Mobile. Impallomeni organizza una versione ridotta della vecchia Catturandi (una versione che, nell'udienza del 31 gennaio 1995 l'ispettore Ottavio Fiorita, membro della precedente Sezione Catturandi, definirà "una squadretta così") e ne affida la direzione al commissario Renato Gentile, proveniente dalla Sezione Antirapine della Mobile.
Gentile è un personaggio particolare. Da quanto è emerso dal processo Contrada, non godeva della fiducia e della simpatia di molti all'interno della Questura di Palermo. A proposito della ristrutturazione voluta da Immordino e Impallomeni e del sostanziale annullamento della Sezione Catturandi da loro voluto, l'allora vicecapo della Squadra Mobile Tonino De Luca ricorda, nell'udienza del 28 ottobre 1994, un episodio alquanto increscioso:
DE LUCA - "Un giorno viene Gentile e mi dice che Impallomeni aveva organizzato un gruppo di lavoro per la ricerca dei latitanti che doveva essere diretto dallo stesso Gentile, e gli aveva detto che io non dovevo saperne niente. Io vado da Impallomeni a lamentarmi della sua scarsa fiducia nei miei confronti. Lui nega e chiede un confronto con Gentile. Alle tre del pomeriggio Gentile viene a casa mia piangendo e mi dice: 'alle diciotto Impallomeni vuole fare il confronto e ha minacciato di distruggermi se non sostengo la sua versione'. Siamo nel marzo del 1980. Io mi arrabbiai moltissimo e andai a cantarla chiara ad Impallomeni. Impallomeni non aveva fiducia in me e neanche il questore Immordino."
La tensione all'interno della Questura è palpabile. Gentile rimane a capo di questa squadra improvvisata per la ricerca dei latitanti ed il 12 aprile 1980, un sabato, guida una perquisizione nell'abitazione del boss Salvatore Inzerillo, da tempo ricercato. Inzerillo non viene trovato e riesce così a sfuggire alla cattura.
Due giorni dopo, il 14 aprile, Gentile stila una relazione di servizio nella quale riferisce che la sera stessa della perquisizione era stato avvicinato nella sede della Squadra Mobile da Bruno Contrada. In udienza, Gentile ricorderà di aver avuto quel colloquio con Contrada alla presenza del maresciallo Trigona (naturalmente, manco a dirlo, già morto all'epoca del processo Contrada). Gentile sostiene che, in quel colloquio, Contrada si era informato con lui sull'operazione fallita, chiedendo in particolare "se in quell'occasione agenti armati di mitra fossero entrati nelle stanze facendo impazzire i bambini".
Fin qui, nulla di strano. Ma due sono i rilievi di Gentile che suscitano il sospetto prima degli inquirenti e poi dei giudici del processo Contrada:
1) Gentile sostiene, senza peraltro addurre nessuna ulteriore specificazione, che Contrada gli avrebbe riferito di aver ricevuto lamentele dai capimafia per le modalità con cui era stata condotta l'operazione. Nella relazione Gentile riferisce anche che Contrada avrebbe pronunciato delle frasi riferite a "personaggi mafiosi che hanno allacciamenti con l'America";
2) alla fine del colloquio, Contrada, contrariamente a quella che è sempre stata la sua figura di poliziotto integerrimo e di non comune coraggio (figura così dipinta da tutti quelli che hanno lavorato con lui), avrebbe manifestato a Gentile quella che riteneva una sostanziale impotenza della Polizia rispetto alla "grande organizzazione mafiosa". "Di fronte alla mafia o fatti di questo genere" - avrebbe detto Contrada, secondo quanto riferito da Gentile - "noi siamo polvere, hai visto com'è finita a Giuliano?".
Questa posizione accusatoria di Renato Gentile viene, secondo i pubblici ministeri, sostenuta dal fatto che lo stesso Giuseppe Impallomeni ebbe, di lì a poco, occasione di lamentarsi con Contrada per il colloquio da quest'ultimo avuto con Gentile.
2. LA DIFESA
2.1. Nomen (in questo caso) non est omen
Diversi colleghi, superiori e dipendenti del commissario Gentile hanno confermato in udienza che negli ambienti della Polizia era risaputo che i modi da costui usati nelle operazioni che gestiva non corrispondevano affatto al suo cognome.
In altre parole, non uno ha mancato di sottolineare il carattere irruento di Gentile e le sue modalità operative non sempre ortodosse come un vero e proprio modus operandi al quale Gentile non veniva mai meno, anche quando non ci sarebbe stato alcun motivo di usare la violenza o di abbandonarsi a quelli che, comunque la si voglia vedere, sono stati dipinti da tutti come dei veri e propri eccessi. In particolare, moltissimi colleghi e collaboratori hanno ricordato che, fin dal suo insediamento come dirigente della Sezione Catturandi, il commissario Gentile, nella sua attività di ricerca dei latitanti, era solito usare sistemi molto duri non già nei confronti dei mafiosi da ricercare quanto piuttosto nei confronti dei loro familiari, inclusi moglie e figli.
Guglielmo Incalza, all'epoca dei fatti capo della Sezione Investigativa della Squadra Mobile di Palermo (era da poco succeduto a Vittorio Vasquez), dichiara nell'udienza del 24 gennaio 1995:
INCALZA - "Renato Gentile era un esaltato e un isterico. Contrada diede a Gentile soltanto dei consigli di etica professionale, non lo intimidì mai."
Filippo Peritore, che all'epoca dei fatti era funzionario della Squadra Mobile di Palermo prima alla Sezione Antirapine, poi alla Sezione Omicidi quindi alla Sezione Antidroga come dirigente, ha ricordato nell'udienza del 24 gennaio 1995:
PERITORE - "Il consiglio di Contrada a Gentile? Un'esortazione opportuna. Anche a me Contrada disse di non commettere abusi durante le perquisizioni."
Il fatto che Peritore definisca "esortazione" l'allocuzione di Contrada a Gentile stempera, com'è giusto che sia, il tenore di quel colloquio: non una minaccia, ma un consiglio, dettato giustamente dal momento di estrema tensione che la Questura di Palermo stava vivendo. Il fatto, poi, che Peritore definisca tale esortazione "opportuna" dimostra che era noto a tutti, nella Polizia palermitana, che Renato Gentile usasse dei metodi non proprio ortodossi. Ma il fatto importante è che Peritore ricorda che anche a lui Contrada disse di non "commettere abusi": non di "non agire" ma semplicemente di "non esagerare", come tutti vorremmo che fosse. Quanti cittadini si sono spesso lamentati, a torto o a ragione, delle maniere forti che a volte gli uomini in divisa hanno usato? E quando si trova un funzionario di polizia, come Contrada, che, in definitiva, cerca solo di far rispettare un codice deontologico, perchè ciò dovrebbe sembrare strano e portare addirittura a bollare quel funzionario di collusione con i criminali? Filippo Peritore ricevette da Contrada lo stesso consiglio che quest'ultimo diede a Gentile: ma, al contrario di Gentile, non attribuì ad esso alcuna valenza ultronea e non ne fece punto una tragedia.
L'ex-ispettore della Squadra Mobile Corrado Catalano, che partecipò a diverse operazioni di polizia con il commissario Gentile e che dai giudici di primo grado "è stato anch'egli disatteso perchè favorevole al dottore Contrada" (come scrivono gli avvocati Sbacchi e Milio nell'atto di impugnazione in appello della sentenza di primo grado), ha raccontato nell'udienza del 20 gennaio 1995:
CATALANO - "Il comportamento del dottor Gentile in occasione di servizi d'istituto era a dir poco pessimo. Gentile eccedeva senza motivo, aveva dei modi sbagliati, irruenti, provocatori, provocava oltraggio così, gratuitamente, era molto spregiudicato, anche nel linguaggio. Io, spesso, visto che c'era questa confidenza e ci davamo del tu, quando eravamo da soli e non c'erano altri funzionari per via gerarchica, cercavo di dirglielo: 'ma tu ti comporti male veramente...'. Una volta, mi ricordo, eravamo a bordo di un'autovettura militare e abbiamo fermato due giovani a bordo di un motorino: lui è uscito con la pistola così e i ragazzi si sono spaventati, addirittura uno dei due è diventato pallido. Si trattava del figlio di una personalità, e per questo hanno pure reclamato. Si trattava soltanto di due studentelli, che non erano neanche pregiudicati nè niente..."
AVVOCATO SBACCHI - "Cioè non c'erano facce o contesti sospetti o criminali..."
CATALANO - "No, assolutamente. Li avevamo fermati così, solamente perchè erano in due sul motorino... Ma, insomma, si guarda bene prima di... Che poi non c'era motivo che questi potessero scappare, quindi non è che c'era una cosa..."
AVVOCATO SBACCHI - "In occasione di perquisizioni o ricerca di latitanti, lei ha detto che ha fatto qualche operazione del genere col dottore Gentile..."
CATALANO - "Sì, e preferivo che non ci fosse lui ogniqualvolta succedeva di fare una perquisizione o qualche cosa. Perchè, come ripeto, si lasciava andare."
AVVOCATO SBACCHI - "E cioè? Se ci può raccontare qualche cosa..."
CATALANO - "Nel senso che si andava a fare una perquisizione e magari c'erano delle donne, dei bambini, che stavano nella stanza da letto. Allora lui sfondava la porta, entrava con le pistole, insomma era una cosa proprio... Delle scene così, senza nessun motivo proprio, non c'era bisogno che entrasse così quando si poteva ottenere lo stesso risultato in altro modo."
Malgrado l'ispettore Catalano abbia riferito dei fatti specifici e relativi a ben più di una sola occasione, e malgrado abbia affrontato Renato Gentile in un confronto in aula di cui parleremo più sotto e dal quale a tutti è parso che quest'ultimo uscisse quanto meno malconcio, i giudici di primo grado hanno bollato Catalano senza mezzi termini come non attendibile: "non è apparso in alcun modo convincente", hanno scritto a pagina 1185 della sentenza di primo grado. Ingargiola, Barresi e la Puleo hanno addirittura contestato che Catalano avesse con Gentile quella confidenza di cui egli stesso aveva parlato perchè, scrivono a pagina 1188 della sentenza, "più volte, nel corso del confronto, l'ispettore Catalano ha manifestato la propria spontanea abitudine a rivolgersi al dottor Gentile facendo uso del 'lei' ". Ma, insomma, a parte il fatto che Catalano aveva specificato con chiarezza che dava del "tu" a Gentile "quando eravamo da soli e non c'erano altri funzionari per via gerarchica" (ed il confronto pubblico in un'aula di Tribunale non è certo un incontro "privato" o che si svolga in assenza di gerarchie ben precise, vista la presenza della Corte), c'è da chiedersi una cosa. Che Catalano possa aver detto a Gentile "ma TU TI COMPORTI male veramente..." oppure "ma LEI SI COMPORTA male veramente..." ha davvero la stessa importanza di un frigorifero in casa di un Eschimese. Qualunque sia stata la forma usata, Catalano ha in ogni caso inteso far notare a Gentile che il comportamento di quest'ultimo era scorretto. Et de hoc satis.
L'ex-maresciallo della Sezione Catturandi della Squadra Mobile Biagio Naso, escusso nell'udienza del 13 gennaio 1995, ha riferito di aver effettuato diverse operazioni insieme a Renato Gentile, tra cui la perquisizione del 12 aprile 1980, e di aver constatato quanto segue:
NASO - "Gentile era un po' irruento con i familiari dei latitanti. Per il suo carattere, magari, ma era sgarbato, violento, dava qualche spintone, entrava ed usciva dalle stanze magari dove vi erano a letto delle donne. La perquisizione del 12 aprile 1980 si svolse come di solito era il suo carattere, un po' dinamico, un po' violento."
AVVOCATO MILIO - "Non picchiava la gente..."
PRESIDENTE INGARGIOLA - "Dica che cosa fece il dottore Gentile in questa perquisizione..."
NASO - "Entrando all'interno comincia a spingere la signora, poi c'era un ragazzo, mi sembra il figlio, allora aveva, credo, tredici/quindici anni, questo ragazzo, naturalmente, visto che il padre non c'era, era l'unico uomo a casa, cercava di fare l'uomo di casa, chiedeva le ragioni e i motivi per cui... e lui lo spingeva, è entrato improvvisamente nelle stanze... si comportava in questo modo."
PRESIDENTE INGARGIOLA - "Che cosa significa entrare improvvisamente nelle stanze? Non si deve cercare un latitante? Che significa, non lo capisco..."
NASO - "Certo che si deve cercare un latitante..."
PRESIDENTE INGARGIOLA - "Che significa entrare improvvisamente? Che si deve forse avvisare per entrare nelle stanze?"
NASO - "No, però si può trovare... Noi eravamo un po' più garbati, nel senso che entravamo all'interno prendendo delle precauzioni contemporaneamente... Però spesso capitava di trovare donne nude e quindi noi questo spettacolo lo volevamo evitare e quindi si tollerava un po'."
PRESIDENTE INGARGIOLA - "Allora si bussava prima di entrare nelle stanze?"
NASO - "Non si bussava, si chiedeva alla persona che era vicina a noi se c'erano delle donne o meno all'interno, se non c'erano donne si faceva l'irruzione."
AVVOCATO MILIO - "Insomma, si faceva con... si cercava di rispettare il pudore. Mi scusi, quando si facevano queste irruzioni non si faceva una cinta di protezione attorno..."
NASO - "Certo. Prima di entrare all'interno vi erano degli altri uomini che venivano dislocati nel perimetro esterno dell'appartamento, della villa..."
AVVOCATO MILIO - "Quando si fece l'irruzione in casa Inzerillo, si fece con il mitra in mano?"
NASO - "Credo di sì, senz'altro. Perchè certo non andavamo ad arrestare un truffatore che non usa armi, quindi, rispetto a chi ci trovavamo davabi prendevamo le nostre precauzioni."
AVVOCATO MILIO - "Ma entrando in casa si fece con il mitra in mano? Avevate i mitra in mano quando avete contattato la signora, il bambino, i ragazzi..."
NASO - "Con le pistole e il mitra in mano."
(...)
AVVOCATO MILIO - "Lei diceva poc'anzi donne nude... Alludeva al pudore minimo e necessario. Per caso, nella perquisizione Inzerillo, la signora Inzerillo era in abiti succinti o addirittura..."
NASO - "In vestaglia."
Giuseppe Crimi, all'epoca funzionario della Squadra Mobile di Palermo, dichiara a sua volta:
CRIMI - "Il dottor Gentile, come al suo solito, aveva fatto una perquisizione, un'irruzione nell'abitazione di Inzerillo con il modo e il metodo che per la verità aveva anche altre volte, in altre occasioni, adoperato..."
L'ex-sottufficiale della Squadra Mobile Salvatore Nalbone ha detto, nell'udienza del 20 gennaio 1995:
NALBONE - "Ho appreso nell'ambiente di lavoro che il dottore Gentile non si comportava bene nei confronti dei familiari dei latitanti in occasione delle perquisizioni."
Stessa musica suonata dal suo collega Francesco Belcamino, anch'egli nell'udienza del 20 gennaio 1995:
BELCAMINO - "Il dottore Gentile adottava abitualmente, nelle perquisizioni, un comportamento poco urbano. Ricordo che nel 1980 partecipai ad un'altra perquisizione, precisamente a Ciaculli, nella quale il dottor Gentile ebbe un alterco con una donna. La spintonò, spintonò questa signora, questa donna, ed aveva la pistola in mano. Entrò direttamente in tutte le stanze, incurante se c'era qualcuno, ripeto, perchè era di notte, se c'era qualcuno a letto."
Ottavio Fiorita, il già citato ex-ispettore della Catturandi di quel tempo, ricorda a sua volta, nell'udienza del 31 gennaio 1995:
FIORITA - "Si sapeva che Gentile era irruento nelle perquisizioni. Molto irruento ed esaltato. Me lo raccontò Biagio Naso a proposito della perquisizione a casa di Totò Inzerillo e anche a proposito della perquisizione a casa di Giovannello Greco."
Proprio di quest'ultima perquisizione parla, nell'udienza del 7 febbraio 1995, Francesco Pellegrino, che in epoca successiva ai fatti in oggetto fu anche capo della Squadra Mobile di Palermo. Anche Pellegrino illustra i metodi spicci e le maniere spesso eccessive del commissario Gentile:
PELLEGRINO - "Ricordo di aver raccolto una lamentela del mafioso Salvatore Greco, padre di Giancarlo Greco, che protestò perchè nel corso di una perquisizione a casa sua il dottor Gentile aveva messo le mani addosso ad una donna, credo o la moglie o la figlia. Anche se poi Gentile si giustificò dicendo che non l'aveva toccata, ma semplicemente scostata."
Il ricordo di Pellegrino viene confortato dalla testimonianza nel medesimo senso degli ex-sottufficiali Alessandro Guadalupi e Giuseppe Falcone, che avevano partecipato personalmente alla suddetta perquisizione.
Ma Pellegrino rammenta anche un secondo episodio, anche in questo caso confermato dall'ex-sottufficiale Alessandro Guadalupi, riguardo all'arresto di Pino Greco "Scarpuzzedda", che venne violentemente spintonato senza alcun motivo da Gentile mentre faceva le foto segnaletiche:
INGROIA - "Quindi fu uno spintone gratuito, senza nessun motivo?"
PELLEGRINO - "Sissignore."
INGROIA - "E lei assistette allo spintone?"
PELLEGRINO - "Ho sentito anche quello che lui ha detto."
Intendiamoci. Nessuno scandalo particolare se un pericoloso mafioso come Pino Greco, che fu anche uno dei più feroci killers dei "corleonesi" nonchè un assiduo frequentatore delle camere della morte di Cosa Nostra dove ai prigionieri venivano riservate terribili torture, non venisse trattato esattamente con i guanti bianchi. Certo, non sarebbe giusto comunque che un rappresentante dello Stato esageri e oltrepassi dei limiti previsti anche dalla legge, neppure in presenza di un bieco assassino, ma, via, si può anche capire la reazione emotiva del poliziotto, il momento di tensione e così via. Anche Bruno Contrada, secondo quanto si racconta, ebbe a spaccare il quadretto con la foto dell'agente Gaetano Cappiello, da poco ucciso, sulla testa del suo killer, Michele Micalizzi: ma fu l'unico, reale episodio di "eccesso" o di "intemperanza" da parte dell'allora capo della Squadra Mobile. Il punto, qui, è che, anche se rivolto verso un sanguinario come Pino Greco, il gesto violento di Gentile era l'ennesimo di una lunga serie che è stata fedelmente riportata in udienza da tutti coloro che hanno lavorato con questo commissario dai modi spicci. In altre parole, come gesto isolato, probabilmente lo spintone di Gentile a Pino Greco non avrebbe fatto impressione a nessuno: ma si trattava di un'abitudine in realtà inveterata di questo poliziotto che, se non andava per il sottile, sul piano fisico, con mafiosi e latitanti (e questo, magari, ci potrebbe anche stare), non ci andava, però, neppure con donne e bambini. Almeno in termini di spintoni.
A proposito del primo episodio ricordato da Pellegrino, quello relativo alla perquisizione in casa di Giovannello Greco, i giudici cercheranno di spiegare che Gentile, in quell'occasione, si era limitato a frapporre il piede tra la porta ed il telaio per evitare che la porta fosse chiusa e a spingere "per un braccio" la sorella dello stesso Giovannello Greco: "la sentenza, però" - affermano gli avvocati Sbacchi e Milio sul punto, nell'atto di impugnazione della sentenza medesima in appello - "ha dimenticato di spiegarci come Gentile, con la porta quasi chiusa, abbia potuto spingere proprio il braccio della donna o non piuttosto altra parte anatomica."
Guardate un po', o attoniti lettori, su cosa si è arrivati a dibattere in questo processo. Porte semichiuse, spintoni, braccia o altre parti del corpo toccate in maniera più o meno opportuna. Un brivido freddo percorre la schiena se si pensa che un uomo è stato condannato in primo grado a dieci anni di carcere da un Tribunale che, pur di respingere le numerose testimonianze in favore dell'imputato, si è anche preoccupato di spiegare come un poliziotto abbia potuto spingere una donna soltanto per un braccio, e con in mezzo una porta semichiusa, anzichè strattonarla in maniera più pesante, come più testimoni oculari avevano visto e riferito con precisione.
Ma, tornando alle testimonianze sulle rudezze del commissario Gentile, un altro funzionario della Squadra Mobile, Vincenzo Boncoraglio, ricorda:
BONCORAGLIO - "Ho avuto modo di constatare il temperamento esuberante del dottor Gentile."
Anche Tonino De Luca torna sul punto, dichiarando nell'udienza del 28 ottobre 1994:
DE LUCA - "Gentile fu come sempre troppo brusco. A casa di Totò Inzerillo fece spianare i mitra e spaventò tutti."
E, infine, persino Guido Zecca, Ispettore Generale Capo del Ministero degli Interni, inviato a Palermo nel giugno del 1981 dal Capo della Polizia Giovanni Rinaldo Coronas per far luce sull'atmosfera di tensione creata dal questore Immordino e dal capo della Squadra Mobile Impallomeni (ne parliamo nel già citato capitolo Il contrasto tra Contrada e il questore Immordino e il blitz del 5 maggio 1980), ha avuto occasione di ribadire, nell'udienza del 28 ottobre 1994, quel che tutti, in Polizia, pensavano di Renato Gentile (anche se Zecca ha usato parole meno dure di altri poliziotti):
ZECCA - "Gentile era giovane ed irruento ed entrò a mitra spianati nell'appartamento di Inzerillo. Impallomeni raccontò il contrario."
I modi poco urbani di Gentile erano dunque ben noti a tutti. Nell'udienza del 4 novembre 1994, era stato lo stesso Bruno Contrada, interrogato dal pubblico ministero Ingroia, a rammentarlo a sua volta con chiarezza. E Contrada ricorda anche che egli stesso, pur essendo a conoscenza (già prima della famosa perquisizione) dei cruenti metodi di Gentile, non ritenne opportuno segnalarli al capo della Squadra Mobile Impallomeni, con il quale, in quel momento di assoluto marasma, i suoi rapporti erano improntati ad una certa tensione.
A detta di tutti, dunque, non soltanto di Contrada, Gentile era noto per essere un "duro" ma ben al di là dei limiti che la legge e la divisa indossata gli avrebbero imposto. Non era affatto strano che il suo operato suscitasse malumori, non tanto fra i latitanti ricercati (who cares?, direbbero gli inglesi, ossia chi si sarebbe preoccupato realmente di ciò?) quanto fra i familiari dei ricercati (mogli e figli non sono necessariamente responsabili delle azioni dei propri congiunti, soprattutto se i figli in questione sono bambini) e addirittura fra gli stessi colleghi. Non era, di conseguenza, strano neppure il fatto che un funzionario più anziano e più alto in grado rivolgesse una sia pur moderata reprimenda al funzionario più giovane, i cui metodi non avevano comunque sortito nessun risultato positivo ed erano serviti, al contrario, soltanto ad esasperare vieppiù delinquenti pericolosi che non aspettavano altro per spargere nuovo sangue sulle già abbastanza rosse strade di Palermo e dintorni.
2.2. Una questione di fonti
C'è un punto, poi, che appare di fondamentale importanza.
Non furono, come sostiene Gentile, i "capimafia" ad informare Bruno Contrada delle scorrettezze dallo stesso Gentile compiute durante la perquisizione, bensì Vittorio Vasquez, che da poco aveva lasciato la dirigenza della Sezione Investigativa della Squadra Mobile a Guglielmo Incalza per passare proprio alla Criminalpol palermitana diretta da Contrada.
Lo ricordano anche i già citati Guido Zecca e Tonino De Luca nell'udienza del 28 ottobre 1994:
ZECCA - "L'episodio fu riferito dall'avvocato di Inzerillo a Vittorio Vasquez."
DE LUCA - "Inzerillo si era lamentato col suo avvocato, Nino Fileccia, e Fileccia lo riferì a Vasquez. Vasquez disse tutto a Contrada, il quale parlò con Gentile per rabbonirlo."
Le cose andarono così.
Salvatore Inzerillo, latitante, si era lamentato dei metodi di Gentile con il suo legale, l'avvocato Nino Fileccia. L'avvocato aveva riferito la cosa a Vasquez, esortandolo ad informarne Contrada, che riteneva essere ancora capo della Squadra Mobile e dunque diretto superiore di Gentile: l'intenzione di Fileccia era di far richiamare Gentile affinchè usasse maniere meno "forti" non certo con i latitanti ma con i loro familiari. Il motivo? Semplice: non esasperare ulteriormente un clima che definire di violenza e da tregenda sarebbe stato soltanto un eufemismo.
Sollecitato da Vasquez, dunque, Contrada incontra Gentile nella palazzina dove ha sede la Squadra Mobile e, alla presenza dello stesso Vasquez (che lo ha confermato in udienza), si accerta dell'accaduto dalla viva voce di Gentile (ecco, finalmente, in questo processo, un riscontro "oggettivo"!) e lo esorta, in qualità di funzionario più anziano ed esperto, ad usare più cautela ed accortezza. E non certo per paura o per rispetto nei confronti dei mafiosi latitanti: semplicemente per il motivo cui abbiamo accennato or ora, ossia perchè, essendo quelli tempi particolari, nei quali la mafia aveva mostrato di non esitare a colpire il cuore delle Istituzioni, non bisognava dare a dei pericolosi delinquenti il minimo motivo di esasperare delle reazioni che già si stavano, purtroppo, mostrando in tutta la loro efferatezza.
Vittorio Vasquez, che, come abbiamo detto, era presente al colloquio tra Contrada e Gentile, ricorda in udienza quanto segue:
VASQUEZ - "Il dottore Contrada consigliò al dottor Gentile, che da pochi giorni prestava servizio alla Mobile, di usare sì cautela e precauzioni in servizi di cattura di boss di mafia, ma di non assumere o far assumere al personale atteggiamenti non adeguati alle esigenze nei confronti delle mogli o dei figli minori dei latitanti. Inoltre, escludo categoricamente che il dottore Contrada abbia pronunciato quelle frasi contenute nella relazione di Gentile e riferite a 'personaggi mafiosi che hanno allacciamenti con l'America'. "
La conferma di ciò, ossia del fatto che Contrada volesse soltanto invitare Gentile alla prudenza senza in realtà voler coprire o proteggere nessuno, arriva, paradossalmente, dallo stesso Gentile, che, nell'udienza del 25 maggio 1994, fa due dichiarazioni ben precise.
1.
INGROIA - "Era un atteggiamento (quello di Contrada, nda) dal tono colloquiale, di quello che si usa al bar, o era una sorta di rimprovero?"
GENTILE - "Niente, no, no, non rimprovero, mi parlava di questo modo mio di operare, tutto qua, adesso il particolare, adesso non riesco..."
Niente rimproveri, nessun tono aggressivo da parte di Contrada. Lo conferma anche un testimone oculare di quel colloquio, il già ricordato ex-maresciallo della Sezione Catturandi della Squadra Mobile Biagio Naso, che dichiara a tal proposito nell'udienza del 13 gennaio 1995:
AVVOCATO MILIO - "Sa se il dottore Contrada ebbe modo di parlare di questo episodio (la perquisizione del 12 aprile 1980 a casa Inzerillo, nda) con Gentile e perchè?"
NASO - "Mi sembra di pomeriggio, innanzi la Squadra Mobile il dottore Contrada discuteva con il dottore Gentile, mi sembra che c'era un sottufficiale che non ricordo. Io, però, non partecipai alla discussione, ero vicino e non potei fare a meno di ascoltare. Gli dava dei consigli appunto per questa perquisizione di Inzerillo, gli dava dei consigli come funzionario anziano, una paternale... Gli diceva di non dare spettacolo gratuito ai familiari dei latitanti."
AVVOCATO MILIO - "Non fare sceneggiate... Il dottore Contrada ebbe mai ad usare l'espressione 'di fronte alla mafia o fatti di questo genere noi siamo polvere, hai visto com'è finita a Giuliano?'. Cioè, nel senso di intimorire Gentile o esortarlo a non fare perquisizioni in casa di latitanti mafiosi?"
NASO - "Che io sappia, no."
AVVOCATO MILIO - "In quella occasione."
NASO - "Assolutamente!"
AVVOCATO MILIO - "Lei ebbe modo di sentire distintamente la conversazione?"
NASO - "Sì, io ho avuto modo di sentire la discussione e di questo non ne hanno proprio parlato, hanno parlato soltanto del fatto che... del comportamento del dottor Gentile, di comportarsi più garbatamente nei confronti dei familiari dei latitanti."
La conferma arriva anche da un altro ex-funzionario di Polizia del tempo, Girolamo Di Fazio:
DI FAZIO - "Il dottore Contrada dava sempre consigli nel senso di non eccedere in caso di esuberanze, mi riferisco al caso Gentile di cui sono a conoscenza."
Altra conferma da parte del già ricordato ex-funzionario della Squadra Mobile Giuseppe Crimi:
CRIMI - "Il dottore Contrada aveva affettuosamente rimarcato a Gentile che quando si fanno queste cose è inutile fare della violenza."
Affettuosamente. Nessuna asprezza, dunque, da parte di Contrada. Anzi, Contrada fu talmente "morbido" nella reprimenda a Gentile che l'ispettore ministeriale Guido Zecca ricorda, ancora nell'udienza del 28 ottobre 1994:
ZECCA - "Immordino riprese Gentile, Gentile si lamentò con Impallomeni e negò di essere stato troppo irruento. Gentile si lamentò anche con Contrada, che si schierò dalla sua parte e addirittura intercesse per lui presso Immordino."
Nessun tono sopra le righe, dunque, da parte di Contrada, che si fa anche "difensore" di Gentile con il questore Immordino. Nessuna reazione, da parte dello stesso Contrada, da poliziotto colluso con i mafiosi che cerca di fare gli interessi di questi ultimi. E, soprattutto, cosa più importante, nessuna osservazione fu mai fatta da Contrada a Gentile sull' "impotenza" della Polizia contro lo strapotere mafioso.
2.
AVVOCATO SBACCHI - "Lei ha dichiarato di essersi recato diverse volte a perquisire l'abitazione di Inzerillo. Orientativamente ricorda quante volte e con quale cadenza?"
GENTILE - "Cinque, sei, sette volte, adesso non ricordo con esattezza, può essere sette come possono essere quattro."
AVVOCATO SBACCHI - "Le perquisizioni, lei ne ha riferite cinque o sei, che arco di tempo hanno impegnato, cioè lei le faceva quotidianamente?"
GENTILE - "No, le facevamo a seconda degli appostamenti."
AVVOCATO SBACCHI - "Dico, nella specie Inzerillo Salvatore, lei ci sa quantificare in quale arco di tempo si sono svolte queste perquisizioni?"
GENTILE - "Be', abbastanza largo..."
AVVOCATO SBACCHI - "E cioè? Lo dica concretamente."
GENTILE - "Sette-otto mesi, un anno, ecco."
AVVOCATO SBACCHI - "Ah, sette-otto mesi. Ed è stata solo l'ultima perquisizione che suscitò le 'ire' del dottore Contrada?"
GENTILE - "Fu l'ultima perquisizione."
La continuità delle perquisizioni a casa di Inzerillo è stata ricordata anche dal già citato Francesco Pellegrino, che, nell'udienza del 7 febbraio 1995, afferma:
PELLEGRINO - "Le perquisizioni nell'abitazione di Inzerillo erano state moltissime. Ho appreso che vi era stata qualche rimostranza da parte di Inzerillo, che aveva insinuato che i poliziotti andassero nella sua abitazione oltre che per cercare lui anche per guardare la moglie."
"Un giudizio più equilibrato e meno pregiudizio" - scrivono gli avvocati Sbacchi e Milio nell'atto di impugnazione della sentenza di primo grado - "avrebbe dovuto indurre i primi giudici a disattendere la 'verità' di Gentile ed Impallomeni per la illogicità di un intervento, quello del dottor Contrada, che sarebbe stato esperito soltanto dopo un notevole numero di perquisizioni, per di più svolte nell'arco di un anno circa".
Chiunque volesse adoperare un po' di logica non troverebbe difficoltà ad avallare quanto affermato dagli avvocati. Se Contrada avesse inteso intervenire in favore di Inzerillo, infatti, l'avrebbe fatto prima: aveva avuto l'occasione di varie perquisizioni per farlo, non avrebbe di certo atteso l'ultima, nel timore che una qualunque di queste operazioni andasse a segno con la cattura di Inzerillo. E, soprattutto, non avrebbe svolto quelle indagini specifiche che, proprio in quel periodo, rivolse proprio contro Salvatore Inzerillo ed i suoi accoliti per l'omicidio di Giuseppe Di Cristina, per il caso Sindona e per l'omicidio del procuratore della Repubblica di Palermo Gaetano Costa.
2.3. Una relazione forzata
Appare, dunque, assurdo ipotizzare che Contrada, nel suo rimbrotto a Gentile, potesse avere avuto anche la più lontana intenzione di tutelare in qualche modo Inzerillo. Appare altrettanto assurdo, vista la concomitanza di altre importanti indagini in cui Contrada era impegnato, affermare, come lo stesso Gentile ha fatto nella sua relazione, che Contrada potesse rappresentare al giovane commissario una sorta di senso di impotenza e di frustrazione della Polizia davanti al dilagare delle cosche.
Eppure Gentile scrisse quelle parole.
Perchè?
Lo spiegano quattro ex-membri della Squadra Mobile dell'epoca, i già ricordati Vincenzo Boncoraglio, Filippo Peritore, Guglielmo Incalza e Corrado Catalano. Quattro testimonianze secche e precise:
BONCORAGLIO - "Ho appreso nell'ambiente della Polizia da alcuni colleghi che il dottor Gentile fu quasi costretto a fare quella relazione."
PERITORE - "Il dottor Gentile subì pressioni per scrivere quella relazione."
INCALZA - "Seppi che Gentile era stato costretto da Impallomeni e dal questore Immordino a relazionare il falso. Era stato chiuso in una stanza."
CATALANO - "Una mattina Gentile era di malumore e mi chiese di andare con lui all'ufficio anagrafe per alcuni accertamenti. Gentile si sfogò con me dicendomi: 'mi hanno imposto di fare una relazione contro il dottor Contrada ma io non volevo'. Disse che ad imporgli ciò era stato Impallomeni. Gentile aggiunse anche che la relazione era alterata e travisava il vero. Disse che gliel'avevano imposta perchè 'il pesce grande mangia sempre il pesce piccolo'. Nel dirmi queste cose Gentile era demoralizzato e rammaricato."
Ecco la verità. Renato Gentile, in realtà, ricevette delle pressioni per redigere la sua relazione di servizio del 14 aprile 1980 in quel modo palesemente pretestuoso. Non solo, ma ebbe anche modo di confidare il fatto di aver ricevuto quelle pressioni ad un collega e non perse occasione di scusarsi con Bruno Contrada per il proprio agire avventato.
Come mai, allora, si sono chiesti i giudici, in quel turbolento aprile 1980 Contrada, praticamente calunniato da Gentile e ai ferri corti con Impallomeni, non aveva reagito di fronte a questa inopinata levata di scudi contro di lui? Gli avvocati lo spiegano nell'impugnazione della sentenza di primo grado: "E' incontrovertibile" - scrivono Sbacchi e Milio - "che la prova delle gravissime e calunniose accuse dell'accoppiata Gentile/Impallomeni il dottor Contrada non aveva potuto acquisirla, non potendo conseguentemente esperire alcuna azione giudiziaria, per il rifiuto di esibizione della relazione di servizio di Gentile oppostogli dal questore in carica". Il questore Vincenzo Immordino.
2.4. La posizione di Giuseppe Impallomeni
Impallomeni protestò e si lamentò con Contrada, certo. Ma non perchè Contrada avesse assunto un qualsivoglia atteggiamento sospetto. Impallomeni, in qualità di capo della Squadra Mobile e quindi diretto superiore di Gentile, si era sentito semplicemente scavalcato perchè un suo dipendente era stato redarguito da Contrada, che era dirigente di un altro ufficio.
Come abbiamo accennato prima, i rapporti tra Contrada ed Impallomeni erano tesi già da tempo. Questo, che costituisce un assunto verificato quanto i suoi stessi motivi, accredita la tesi di quello che gli avvocati Milio e Sbacchi hanno definito come quel "malanimo" di Impallomeni verso Contrada che "troverà il suo apogeo negli avvenimenti del successivo mese di maggio 1980", come vedremo nel capitolo Il contrasto tra Contrada e il questore Immordino e il blitz del 5 maggio 1980.
C'è un punto, poi, che appare di fondamentale importanza.
Non furono, come sostiene Gentile, i "capimafia" ad informare Bruno Contrada delle scorrettezze dallo stesso Gentile compiute durante la perquisizione, bensì Vittorio Vasquez, che da poco aveva lasciato la dirigenza della Sezione Investigativa della Squadra Mobile a Guglielmo Incalza per passare proprio alla Criminalpol palermitana diretta da Contrada.
Lo ricordano anche i già citati Guido Zecca e Tonino De Luca nell'udienza del 28 ottobre 1994:
ZECCA - "L'episodio fu riferito dall'avvocato di Inzerillo a Vittorio Vasquez."
DE LUCA - "Inzerillo si era lamentato col suo avvocato, Nino Fileccia, e Fileccia lo riferì a Vasquez. Vasquez disse tutto a Contrada, il quale parlò con Gentile per rabbonirlo."
Le cose andarono così.
Salvatore Inzerillo, latitante, si era lamentato dei metodi di Gentile con il suo legale, l'avvocato Nino Fileccia. L'avvocato aveva riferito la cosa a Vasquez, esortandolo ad informarne Contrada, che riteneva essere ancora capo della Squadra Mobile e dunque diretto superiore di Gentile: l'intenzione di Fileccia era di far richiamare Gentile affinchè usasse maniere meno "forti" non certo con i latitanti ma con i loro familiari. Il motivo? Semplice: non esasperare ulteriormente un clima che definire di violenza e da tregenda sarebbe stato soltanto un eufemismo.
Sollecitato da Vasquez, dunque, Contrada incontra Gentile nella palazzina dove ha sede la Squadra Mobile e, alla presenza dello stesso Vasquez (che lo ha confermato in udienza), si accerta dell'accaduto dalla viva voce di Gentile (ecco, finalmente, in questo processo, un riscontro "oggettivo"!) e lo esorta, in qualità di funzionario più anziano ed esperto, ad usare più cautela ed accortezza. E non certo per paura o per rispetto nei confronti dei mafiosi latitanti: semplicemente per il motivo cui abbiamo accennato or ora, ossia perchè, essendo quelli tempi particolari, nei quali la mafia aveva mostrato di non esitare a colpire il cuore delle Istituzioni, non bisognava dare a dei pericolosi delinquenti il minimo motivo di esasperare delle reazioni che già si stavano, purtroppo, mostrando in tutta la loro efferatezza.
Vittorio Vasquez, che, come abbiamo detto, era presente al colloquio tra Contrada e Gentile, ricorda in udienza quanto segue:
VASQUEZ - "Il dottore Contrada consigliò al dottor Gentile, che da pochi giorni prestava servizio alla Mobile, di usare sì cautela e precauzioni in servizi di cattura di boss di mafia, ma di non assumere o far assumere al personale atteggiamenti non adeguati alle esigenze nei confronti delle mogli o dei figli minori dei latitanti. Inoltre, escludo categoricamente che il dottore Contrada abbia pronunciato quelle frasi contenute nella relazione di Gentile e riferite a 'personaggi mafiosi che hanno allacciamenti con l'America'. "
La conferma di ciò, ossia del fatto che Contrada volesse soltanto invitare Gentile alla prudenza senza in realtà voler coprire o proteggere nessuno, arriva, paradossalmente, dallo stesso Gentile, che, nell'udienza del 25 maggio 1994, fa due dichiarazioni ben precise.
1.
INGROIA - "Era un atteggiamento (quello di Contrada, nda) dal tono colloquiale, di quello che si usa al bar, o era una sorta di rimprovero?"
GENTILE - "Niente, no, no, non rimprovero, mi parlava di questo modo mio di operare, tutto qua, adesso il particolare, adesso non riesco..."
Niente rimproveri, nessun tono aggressivo da parte di Contrada. Lo conferma anche un testimone oculare di quel colloquio, il già ricordato ex-maresciallo della Sezione Catturandi della Squadra Mobile Biagio Naso, che dichiara a tal proposito nell'udienza del 13 gennaio 1995:
AVVOCATO MILIO - "Sa se il dottore Contrada ebbe modo di parlare di questo episodio (la perquisizione del 12 aprile 1980 a casa Inzerillo, nda) con Gentile e perchè?"
NASO - "Mi sembra di pomeriggio, innanzi la Squadra Mobile il dottore Contrada discuteva con il dottore Gentile, mi sembra che c'era un sottufficiale che non ricordo. Io, però, non partecipai alla discussione, ero vicino e non potei fare a meno di ascoltare. Gli dava dei consigli appunto per questa perquisizione di Inzerillo, gli dava dei consigli come funzionario anziano, una paternale... Gli diceva di non dare spettacolo gratuito ai familiari dei latitanti."
AVVOCATO MILIO - "Non fare sceneggiate... Il dottore Contrada ebbe mai ad usare l'espressione 'di fronte alla mafia o fatti di questo genere noi siamo polvere, hai visto com'è finita a Giuliano?'. Cioè, nel senso di intimorire Gentile o esortarlo a non fare perquisizioni in casa di latitanti mafiosi?"
NASO - "Che io sappia, no."
AVVOCATO MILIO - "In quella occasione."
NASO - "Assolutamente!"
AVVOCATO MILIO - "Lei ebbe modo di sentire distintamente la conversazione?"
NASO - "Sì, io ho avuto modo di sentire la discussione e di questo non ne hanno proprio parlato, hanno parlato soltanto del fatto che... del comportamento del dottor Gentile, di comportarsi più garbatamente nei confronti dei familiari dei latitanti."
La conferma arriva anche da un altro ex-funzionario di Polizia del tempo, Girolamo Di Fazio:
DI FAZIO - "Il dottore Contrada dava sempre consigli nel senso di non eccedere in caso di esuberanze, mi riferisco al caso Gentile di cui sono a conoscenza."
Altra conferma da parte del già ricordato ex-funzionario della Squadra Mobile Giuseppe Crimi:
CRIMI - "Il dottore Contrada aveva affettuosamente rimarcato a Gentile che quando si fanno queste cose è inutile fare della violenza."
Affettuosamente. Nessuna asprezza, dunque, da parte di Contrada. Anzi, Contrada fu talmente "morbido" nella reprimenda a Gentile che l'ispettore ministeriale Guido Zecca ricorda, ancora nell'udienza del 28 ottobre 1994:
ZECCA - "Immordino riprese Gentile, Gentile si lamentò con Impallomeni e negò di essere stato troppo irruento. Gentile si lamentò anche con Contrada, che si schierò dalla sua parte e addirittura intercesse per lui presso Immordino."
Nessun tono sopra le righe, dunque, da parte di Contrada, che si fa anche "difensore" di Gentile con il questore Immordino. Nessuna reazione, da parte dello stesso Contrada, da poliziotto colluso con i mafiosi che cerca di fare gli interessi di questi ultimi. E, soprattutto, cosa più importante, nessuna osservazione fu mai fatta da Contrada a Gentile sull' "impotenza" della Polizia contro lo strapotere mafioso.
2.
AVVOCATO SBACCHI - "Lei ha dichiarato di essersi recato diverse volte a perquisire l'abitazione di Inzerillo. Orientativamente ricorda quante volte e con quale cadenza?"
GENTILE - "Cinque, sei, sette volte, adesso non ricordo con esattezza, può essere sette come possono essere quattro."
AVVOCATO SBACCHI - "Le perquisizioni, lei ne ha riferite cinque o sei, che arco di tempo hanno impegnato, cioè lei le faceva quotidianamente?"
GENTILE - "No, le facevamo a seconda degli appostamenti."
AVVOCATO SBACCHI - "Dico, nella specie Inzerillo Salvatore, lei ci sa quantificare in quale arco di tempo si sono svolte queste perquisizioni?"
GENTILE - "Be', abbastanza largo..."
AVVOCATO SBACCHI - "E cioè? Lo dica concretamente."
GENTILE - "Sette-otto mesi, un anno, ecco."
AVVOCATO SBACCHI - "Ah, sette-otto mesi. Ed è stata solo l'ultima perquisizione che suscitò le 'ire' del dottore Contrada?"
GENTILE - "Fu l'ultima perquisizione."
La continuità delle perquisizioni a casa di Inzerillo è stata ricordata anche dal già citato Francesco Pellegrino, che, nell'udienza del 7 febbraio 1995, afferma:
PELLEGRINO - "Le perquisizioni nell'abitazione di Inzerillo erano state moltissime. Ho appreso che vi era stata qualche rimostranza da parte di Inzerillo, che aveva insinuato che i poliziotti andassero nella sua abitazione oltre che per cercare lui anche per guardare la moglie."
"Un giudizio più equilibrato e meno pregiudizio" - scrivono gli avvocati Sbacchi e Milio nell'atto di impugnazione della sentenza di primo grado - "avrebbe dovuto indurre i primi giudici a disattendere la 'verità' di Gentile ed Impallomeni per la illogicità di un intervento, quello del dottor Contrada, che sarebbe stato esperito soltanto dopo un notevole numero di perquisizioni, per di più svolte nell'arco di un anno circa".
Chiunque volesse adoperare un po' di logica non troverebbe difficoltà ad avallare quanto affermato dagli avvocati. Se Contrada avesse inteso intervenire in favore di Inzerillo, infatti, l'avrebbe fatto prima: aveva avuto l'occasione di varie perquisizioni per farlo, non avrebbe di certo atteso l'ultima, nel timore che una qualunque di queste operazioni andasse a segno con la cattura di Inzerillo. E, soprattutto, non avrebbe svolto quelle indagini specifiche che, proprio in quel periodo, rivolse proprio contro Salvatore Inzerillo ed i suoi accoliti per l'omicidio di Giuseppe Di Cristina, per il caso Sindona e per l'omicidio del procuratore della Repubblica di Palermo Gaetano Costa.
2.3. Una relazione forzata
Appare, dunque, assurdo ipotizzare che Contrada, nel suo rimbrotto a Gentile, potesse avere avuto anche la più lontana intenzione di tutelare in qualche modo Inzerillo. Appare altrettanto assurdo, vista la concomitanza di altre importanti indagini in cui Contrada era impegnato, affermare, come lo stesso Gentile ha fatto nella sua relazione, che Contrada potesse rappresentare al giovane commissario una sorta di senso di impotenza e di frustrazione della Polizia davanti al dilagare delle cosche.
Eppure Gentile scrisse quelle parole.
Perchè?
Lo spiegano quattro ex-membri della Squadra Mobile dell'epoca, i già ricordati Vincenzo Boncoraglio, Filippo Peritore, Guglielmo Incalza e Corrado Catalano. Quattro testimonianze secche e precise:
BONCORAGLIO - "Ho appreso nell'ambiente della Polizia da alcuni colleghi che il dottor Gentile fu quasi costretto a fare quella relazione."
PERITORE - "Il dottor Gentile subì pressioni per scrivere quella relazione."
INCALZA - "Seppi che Gentile era stato costretto da Impallomeni e dal questore Immordino a relazionare il falso. Era stato chiuso in una stanza."
CATALANO - "Una mattina Gentile era di malumore e mi chiese di andare con lui all'ufficio anagrafe per alcuni accertamenti. Gentile si sfogò con me dicendomi: 'mi hanno imposto di fare una relazione contro il dottor Contrada ma io non volevo'. Disse che ad imporgli ciò era stato Impallomeni. Gentile aggiunse anche che la relazione era alterata e travisava il vero. Disse che gliel'avevano imposta perchè 'il pesce grande mangia sempre il pesce piccolo'. Nel dirmi queste cose Gentile era demoralizzato e rammaricato."
Ecco la verità. Renato Gentile, in realtà, ricevette delle pressioni per redigere la sua relazione di servizio del 14 aprile 1980 in quel modo palesemente pretestuoso. Non solo, ma ebbe anche modo di confidare il fatto di aver ricevuto quelle pressioni ad un collega e non perse occasione di scusarsi con Bruno Contrada per il proprio agire avventato.
Come mai, allora, si sono chiesti i giudici, in quel turbolento aprile 1980 Contrada, praticamente calunniato da Gentile e ai ferri corti con Impallomeni, non aveva reagito di fronte a questa inopinata levata di scudi contro di lui? Gli avvocati lo spiegano nell'impugnazione della sentenza di primo grado: "E' incontrovertibile" - scrivono Sbacchi e Milio - "che la prova delle gravissime e calunniose accuse dell'accoppiata Gentile/Impallomeni il dottor Contrada non aveva potuto acquisirla, non potendo conseguentemente esperire alcuna azione giudiziaria, per il rifiuto di esibizione della relazione di servizio di Gentile oppostogli dal questore in carica". Il questore Vincenzo Immordino.
2.4. La posizione di Giuseppe Impallomeni
Impallomeni protestò e si lamentò con Contrada, certo. Ma non perchè Contrada avesse assunto un qualsivoglia atteggiamento sospetto. Impallomeni, in qualità di capo della Squadra Mobile e quindi diretto superiore di Gentile, si era sentito semplicemente scavalcato perchè un suo dipendente era stato redarguito da Contrada, che era dirigente di un altro ufficio.
Come abbiamo accennato prima, i rapporti tra Contrada ed Impallomeni erano tesi già da tempo. Questo, che costituisce un assunto verificato quanto i suoi stessi motivi, accredita la tesi di quello che gli avvocati Milio e Sbacchi hanno definito come quel "malanimo" di Impallomeni verso Contrada che "troverà il suo apogeo negli avvenimenti del successivo mese di maggio 1980", come vedremo nel capitolo Il contrasto tra Contrada e il questore Immordino e il blitz del 5 maggio 1980.
SALVO GIORGIO
2 comments:
molto intiresno, grazie
necessita di verificare:)
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